Le picconate di Boris all’integrità di Westminster

Dire che Boris Johnson governa con sempre maggiore disinvoltura sul piano dell’etica politica è ormai un understatement. Le accuse di immoralità (sleaze, il termine usato in inglese) al premier in carica e al suo entourage per avere tratto vantaggi personali dalla loro posizione di potere sono ormai tante. Dallo scandalo del finanziamento a Johnson da parte di un sostenitore per ristrutturare l’appartamento a Downing Street del premier alle ripetute accuse a membri del Governo per avere approfittato della pandemia favorendo amici e parenti, le critiche dei media e degli oppositori si sprecano da tempo. Sono purtroppo temi comuni a tanti Governi anche in Paesi civili, ma fanno specie in Gran Bretagna dove Westminster è stato un modello di standard elevati soprattutto nel regolamento dei conflitti di interesse e del contenimento degli abusi del potere esecutivo.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta dall’alto con la violenza di un uragano quando Johnson ha usato giorni fa le maniere forti strattonando il Parlamento per fare passare una legge che dava maggiori poteri di difesa ai deputati oggetto di inchieste, censure o misure disciplinari per comportamento indegno da parte dei deputati. Il caso in questione è quello di Owen Paterson, ex ministro del Nord Irlanda e dell’Ambiente sotto David Cameron, che ha causato in queste ore una tempesta che sta costando cara al Primo ministro in termini di consensi. Non solo laburisti e liberaldemocratici si sono indignati, come ci si poteva attendere, ma lo stesso ex Premier conservatore John Major si è spinto ad accusare il Governo Johnson di condotta vergognosa che ha danneggiato fortemente la reputazione del Parlamento. < Una condotta non-conservatrice > ha detto Major sottolineando quanto il suo partito sia scivolato sotto Johnson lungo una china di perdita di dignità che lo ha reso irriconoscibile.

Paterson ha guadagnato negli ultimi 5 anni circa 500mila sterline (quasi 600mila euro) in consulenze profumate a due aziende britanniche. Fin qui nulla di male perché il Parlamentare ha dichiarato regolarmente il suo secondo lavoro che secondo le regole parlamentari è permesso. Il problema è che Paterson ha fatto una lobbying assai sfacciata presso agenzie governative per favorire i propri datori di lavoro. La Commissione che presiede agli standard parlamentari lo ha censurato pesantemente condannandolo a un mese di sospensione dalla Camera dei Comuni dove siede. Fin qui cose che capitano, anche se assai spiacevoli. Lo scandalo sta nel fatto che Johnson ha cercato di bloccare il provvedimento facendo passare a tamburo battente  una legge in Parlamento che dà maggiori diritti di appello da parte degli inquisiti e riduce di fatto i poteri della Commissione. Il problema sta nella coincidenza tra il provvedimento della commissione e il passaggio in fretta e furia della legge per bloccare il provvedimento. Malgrado vari conservatori si siano rivoltati Johnson ha avuto una maggioranza sufficiente per passare la legge giorni fa. Il colpo di mano ha però causato un’ondata di indignazione tale in tutto il Paese da spingere Johnson a rimangiarsi il provvedimento, lasciando Paterson nudo alla meta a fare da parafulmine davanti al furore dell’opinione pubblica. Una posizione insostenibile, che lo ha spinto nel giro di poche ore a dare le dimissioni.

Quando si giocano le carte sul rapporto di forza bisogna essere sicuri di poter vincere e, in questo caso, il colpo di Boris ha ricevuto un più forte contraccolpo che lo ha pesantemente danneggiato. Major, criticando ieri la deriva cesarista di Johnson non ha mancato di ricordare che il premier ha agito in modo incostituzionale e illegale in passato prorogando il Parlamento durante la crisi della Brexit, non osservando l’accordo raggiunto con la UE sul protocollo del Nordirlanda e altri trattati internazionali. Una accusa pesante da un compagno di partito ed ex Premier che conferma come lo stile di Johnson, se così lo si può chiamare, oltre a essere sempre meno conservatore è sempre più spregiudicato e meno politicamente onesto.