Della (in)fedeltà e (in)competenza della mano d’opera in salsa anglosassone

Nel libro dei sogni dell'agenda di Monti e di tutti i modernisti che vogliono un'Italia più allineata al resto del Nord Europa c'è l'accentuazione della meritocrazia, della flessibilità del mercato del lavoro e una maggiore responsabilità dell'individuo in un mondo sempre più globale e volatile dove il posto di lavoro non può essere più difeso da un paleosindacalismo che pensa ancora alla fabbrica fordiana.

Sono tutti buoni propositi. La raccomandazione e assenza di merito affligge il nostro Paese e scoraggia fortemente i giovani in cerca di lavoro. L'aristocrazia sindacale e la difesa a oltranza del posto di lavoro di chi il lavoro ce l'ha già, tende inoltre a tenere indefinitamente fuori dal mondo produttivo chi è in cerca di una prima occupazione. L'evasione fiscale aiuta inoltre a mantenere sul mercato aziende o esercizi commerciali decotti che meriterebbero di sparire e lasciare spazio a strutture più efficienti.

Sono tutte cose che nel cosiddetto mondo anglosassone non esistono e per questo motivo lo rendono più eccitante per l'energia che esso sprigiona grazie a un continuo rinnovamento che comprende anche un processo distruttivo. Non tutto è però rose e fiori: vivendo a Londra da 20 anni credo di avere l'esperienza sufficiente per offrire alcune riflessioni che intendono smitizzare tutti quelli che vedono nel modello angloamericano la perfezione da raggiungere. Secondo me la soluzione sta infatti in una via di mezzo.

In questi giorni festivi mi e' infatti capitato di girare per fare acquisti natalizi sia a Londra sia a Milano. In entrambe le città, va detto, i negozi sono semivuoti a causa della dura crisi economica. Ma una volta entrati nell'esercizio, devo rilevare la cura, l'attenzione, la passione e la competenza del commesso del negozio italiano (che tocca l'apoteosi negli esercizi di generi alimentari di qualità, ma anche di giocattoli, di camicie e di libri) rispetto alla sciatteria, approssimazione, incompetenza neghittosità dell'equivalente londinese. Il commesso dei negozi inglesi, infatti, malgrado la gentilezza, educazione  e apparente rilassatezza nel suo ruolo  è il rappresentante di una classe media proletarizzata senza alcuna competenza che scanala da un lavoro all'altro  come in un gigantesco zapping , seguendo procedure, gerarchie e capitolati dettati dal management delle diverse catene (perchè di queste sempre si tratta) al dettaglio. Inoltre se è vero che la catena garantisce all'erario inglese un gettito sicuro dato che è emersa sul piano fiscale rispetto alla boutique o al negozietto che in Italia prospera sul "nero" è altrettanto vero che nella capitale inglese esiste un'infinità di piccoli esercizi (tabacchi, edicole, pizzicagnoli) che la ricevuta fiscale non sanno neppure che cosa sia.

Risultato finale: il mondo anglosassone tende a dare piena occupazione garantendo rotazione del lavoro in modo però alienante in termini di competenza di prodotto, anche se apre la strada al merito e alla carriera all'interno dell struttura. In Italia l'artigiano è un vero asso del suo genere che mantiene competenze e livelli di qualità di prodotto elevatissimi anche se ciò va a detrimento dei dipendenti dei piccoli esercizi che non hanno possibilità di carriera specie se la proprietà è famigliare, dato che rischiano di non avere alcuna mobilità. Come mi diceva un giovane napoletano "nel mio caso la prospettiva in Italia, una volta faticosamente assunto, è di morire cameriere dopo una vita di lavoro. Per questo ho scelto di rischiare a Londra".

Vista dal consumatore la situazione è diversa: nel negozio inglese troverete un commesso che spesso gira per gli scaffali come un turista e gira le domande che gli fate a un altro collega che le passa a un altro ancora. Sa che comunque dopo un mese magari farà un altro lavoro e quindi non si danna più di tanto. In Italia avete a che fare con gente che ama quello che fa. Nelle catene di caffè l'addetto ci metterà il triplo del collega di un bar Italiano per farvi un caffè o cappuccino dato che è uno sloveno o un lettone arrivato un mese prima nella capitale e al primo lavoro.

Dunque? bisogna fare lo stesso lavoro a vita, difesi magari dai sindacati a costo di morire di noia e sclerosi come in Italia o essere agili, flessibili ed eternamente incompetenti a costo di esasperare i consumatori? Niente paura: il mondo anglosassone risolve la questione standardizzando in modo crescente perfino le novità, in modo che, per fare un esempio teorico, un negozio di una grande catena di moda, a Dubai avrà una collezione diversa da quella del suo equivalente di Londra. Ma sono strategie di marketing. In Italia invece ogni negozietto è di proprietà, ha la propria storia e le proprie radici ed è infinitamente più creativo e con un controllo del rapporto causa-effetto tra creazione e vendita. Alla fine però il commesso italiano o dipendente a vita rischia di morire di paranoia.

Ecco un bel dilemma natalizio su cui riflettere in un momento in cui tutti fanno esperienza di shopping…

  • luana |

    Non ho mai letto un articolo cosi ridicolo. Per la mia esperienza personale a Londra e in Italia(Torino) la situazione e’esattamente l’opposto di come hai descritto..

  • LordBB |

    se entra nelle buotique di alta marca sono motlo competenti gli inglesi, invece nelle catene sono gentili, educati ma ni ci mettono passione. Gli italiani ci mettono passione, e credono che tutto quello che vendono sia al top….

  • luca |

    dissento fortemente sul fatto che i commessi londinesi sono “peggiori” di quelli italiani…è esattamente l’opposto.

  • Stexx |

    Come dicevano i vecchi saggi: “Pietra che rotola non fa muschio”.

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