I piedi d’argilla sociali del miracolo economico cinese

Vi ridordate la minaccia giapponese degli anni '80? Il Paese del Sol levante pareva essere destinato a superare l'America in pochi anni su tutti i fronti della tecnologia. Pure la finanza nipponica era temutissima. La City di Londra, che iniziava a riprendersi dal massacro degli anni '70, era ancora un avversario ridicolo, mentre Wall Street sembrava seriamente minacciata dai nuovi titani bancari nipponici. L'industria del Sol Levante pareva indistruttibile, precisa come un orologio che girava implacabile. L'armonica e impermeabile società giapponese, colta e qualificata, era paragonata a una macchina da guerra. Japan Inc., come era chiamato, era un ciclone inarrestabile, pronto a sfondare in ogni mercato con la forza d'urto di una testuggine romana. Molti avevano cominciato il conto alla rovescia dell'eventuale sorpasso del Giappone sugli Usa. Poi, nel giro di un biennio, tra il 1989 e il 1990 il Giappone ha fatto il botto e da allora è diventato una stella cadente. Ora tutta quest'ansia millenarista è trasferita sulla Cina che ha peraltro superato il pil del Giappone nel 2010 sul crinale della quota siderale dei 6mila miliardi di dollari. A seconda delle previsioni, la Cina sarebbe destinata a raggiungere gli Usa tra i 15 e i 50 anni. Nuovamente siamo davanti a una minaccia. Ma la tigre cinese, per quanto viva e vegeta, non è tutta di carne. Molti pezzi sono di carta per parafrasare un famoso detto di Mao. In particolare la struttura sociale potrebbe paradossalmente diventare il tallone d'Achille del Paese.

Per chi ha la memoria lunga, fu proprio la struttura sociale a creare un problema al Giappone. Impermeabile agli stranieri, perfino ai vicini coreani le cui minoranze residenti sull'isola sono state maltrattate per generazioni, frugale nei consumi e dedito solo all'export, culturalmente monolitico, con una demografia declinante che ha oggi riscontro solo nel popoloso gerontocomio italiano, il Giappone è deragliato nel 1990 con lo scoppio della bolla immobiliare. Da allora ha subito un decennio di deflazione e un altro di ristagno. E la Cina? La Cina, che molte affinità culturali col Giappone in quanto a precisione e abilità della mano d'opera (basta osservare 5 millenni di mirabili artefatti e la tradizione della loro cucina) è senz'altro più creativa del vicino d'oltremare, pur essendo altrettanto compatta in termini di cultura, è pratica e non fanatica, secolare fino al materialismo più bieco, e fortemente familista…almeno…fino a qualche tempo fa. Infatti, questo mi pare il punto debole del Paese. Un interessante reportage su un recente numero del FT Magazine, oltre a ricordare le tensioni e le rotture all'interno delle famiglie durante la rivoluzione culturale maoista a cavallo tra anni '60 e '70, che hanno minato in parte il solido istituto famigliare del Paese, riferisce oggi della minaccia ben peggiore creata dal nuovo boom economico. Questo ha letteralmente deflagrato famiglie già rimpicciolite dall'imperativo politico di procreare al minimo. Il reportage riferisce numerose storie individuali di membri di famiglie sparpagliate ai quattro punti cardinali del Paese. Genitori che lasciano i figli minorenni a casa per andare a guadagnarsi il pane nei grandi centri urbani. Spesso marito e moglie sono costretti ad andare in posti diversi e ciò alla lunga porta a separazioni dolorose e divorzi. Gli incontri con i figli sono ridotti a pochi giorni l'anno e questi diventano degli alieni per i genitori. Molti sono seguiti dai nonni che sono però ignoranti e di origine contadina. I giovani devono dunque, prima o poi, andare a studiare in strutture collettive o devono essere accolti in centri sociali. Tutto questo rimescolamento crea tensioni, stress, incomprensioni e alla fine egoismo dato che ognuno è costretto alla fine a pensare per sè per sopravvivere. L'istituto della famiglia, sopravvissuto a fatica alle purghe maoiste rischia dunque di essere definitivamente triturato e frammentato dalla diaspora creata da questo esodo biblico di persone dalle campagne alle città. Tutto ciò unito a un'economia surriscaldata, percorsa dalle prime rivendicazioni operaie all'insegna di adeguamenti salariali a un costo della vita ormai rampante, sta accumulando sempre più nubi all'orizzonte. Stiamo a vedere che accadrà ma personalmente penso che, dopo una serie di giri a velocità folle, la maestosa e imbattibile economia cinese avrà presto bisogno di fermarsi ai box per riparazioni ai componenti…sociali.    

  • Claudio |

    E’ altrettanto vero, però, che il sistema sociale cinese non potrà reggere a lungo se resta così com’è. Penso non sia azzardato effettuare un parallelismo tra la recente crisi in nord Africa, dove la fame di cultura e di libera informazione, mista a condizioni politico-economiche avverse, ha dato il via ad una rivolta fragorosa delle popolazioni ed il sistema socio-economico cinese; cosa accadrà quando gli operai del Sol Levante si accorgeranno di lavorare in condizioni disumane (o quasi), con ritmi esasperanti e paghe bassissime? In una sola parola, cosa accadrà quando si accorgeranno di essere “sfruttati”? A quel punto inizieranno le rivendicazioni che porteranno ad orari di lavoro decenti, paghe più alte e così via…..e a questo punto cosa ne sarà delle tantissime aziende che ad oggi hanno localizzato la propria produzione a Pechino e dintorni? Ci sarà una smobilitazione di massa della produzione estera in territorio cinese?
    In questo scenario, che non ritengo improbabile, l’economia cinese sarà costretta a pagare il conto. E sarà salato.

  • Carlo D'Angiò |

    Io starei più attento a fare confronti e a tirare le somme, soprattutto perché i tempi sono diversi.
    La struttura sociale che incide sull’economia non è più quella autoctona. Internet e i nuovi mercati possono svelare nuovi scenari.
    Il sistema globale di tipo tradizionale sta crollando. Ed è da qui che bisogna partire con le analisi.

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