Il business creativo della musica

Zeppelin_2 Londra, si sa, è la capitale mondiale della musica. Il primato è stato confermato recentemente, con una serie di concerti di successo allo spazio O2 a Greenwich dei Led Zeppelin (nella foto) tornati a riunirsi per un pubblico in delirio, le Spice Girls, Bruce Springsteen e i Take That giusto per parlare delle esibizioni degli ultimi due mesi. Il business musicale fa parte di quella che viene definita l’economia creativa che, nella capitale, dà lavoro a quasi 600mila persone, quanti gli abitanti dell’intero comune di Genova. Non è cosa da poco, a giudicare dalle fortune smisurate ammassate da cantanti e musicisti che ancora negli anni ’60 vivevano di stenti. Quei tempi sono passati da un pezzo.

L’economia creativa, oltre alla musica, comprende, secondo la classificazione degli economisti, settori come media, pubblicità, arte, architettura, design, artigianato, cinema, teatro, moda e software. Padre e pioniere degli studi in questo settore è l’americano Richard Florida, secondo cui più un ambiente sociale è tollerante e bohémien e più si creano le condizioni per liberare le forze della creatività. Città come New York, San Francisco o Londra sono dunque degli incubatori ideali con ampie comunità di artisti, gay, musicisti e modaioli. Dell’economia creativa in generale parleremo un’altra volta.

Limitandoci all’ambito della musica, da dove eravamo partiti, basta scorrere la classifica dei mille uomini più ricchi del Regno Unito stilata dal < Sunday Times > per capire come questa sia ormai un’industria di tutto rispetto capace di creare legioni di super-ricchi. Un’industria che in Gran Bretagna genera ricavi per oltre 3 miliardi di sterline l’anno, di cui metà a Londra. In cima alla classifica dei Paperoni delle note svetta Clive Calder, fondatore di Zomba Records, poi venduto a Bmg, valutato con un patrimonio di 1,3 miliardi di sterline (quasi 2 miliardi di euro). Seguito dal re del Musical, Andrew Lloyd Webber (noto per il fantasma dell’Opera) con 750 milioni, il beatle Paul Mc Cartney con 725 milioni e, un poco distanti, Elton John (225 milioni) Mick Jagger (215 milioni), Keith Richards (190milioni), Tom Jones (idem), Sting (185 milioni), Tim Rice (155 milioni), Eric Clapton (145 milioni), Ringo Starr (idem), Phil Collins (135 milioni), David Bowie (120 milioni) e Barry e Robin Gibb, noti come Bee Gees con 120 milioni. E ciò solo per citare i più ricchi. Solo questo gruppetto vale oltre 4,5 miliardi di sterline, che sale a 5 miliardi pari a 7 miliardi di euro se contiamo anche gli altri musicisti con patrimoni inferiori ma comunque superiori ai 70 milioni di sterline.   

In prospettiva, la rivoluzione di internet e della musica online e un migliore controllo sui copyright che, nel mare delle note, è infestato da pirati che calpestano i diritti d’autore, potrebbero portare notizie ancora migliori a cantanti, musicisti e compositori. E a tutti noi. Un’economia creativa in cui la gente si diverte e si sente libera rappresenterebbe un piacevole futuro. Per essere ricchi o partecipare al benessere di una branca dell’economia non sarà più necessario fare l’agente immobiliare, l’industriale meccanico, farmaceutico o chimico. L’assicuratore o il banchiere. Lentamente la natura umana pare trovare sbocchi economici anche per chi è un artista e una volta faceva la fame per inseguire le proprie Muse.