Quando una laurea è superflua

Il sogno dei laburisti di portare alla laurea almeno un giovane su due si sta scontrando contro il granitico muro della realtà. L’ambizioso progetto deve infatti non solo fare i conti con la natura umana, che vuole  che non tutti abbiano doti accademiche, ma, specialmente, col mercato del lavoro, come prova un recente studio della London School of Economics.

Lo studio, condotto dal Centre for Economic Performance della LSE, rivela che un laureato su tre è troppo qualificato per il lavoro che fa. Sotto la superficie della media si scoprono però profonde differenze. Chi si laurea nei prestigiosi atenei di Oxford e Cambridge non riesce a trovare un lavoro adeguato soltanto nel 10,6% dei casi. In fondo alla scala stanno i laureati in arte e design che non trovano lo sbocco giusto nel 58,2% dei casi. Guardando per materie, gli studenti che hanno maggiori probabilità di trovare il lavoro su misura sono quelli che studiano materie strettamente legate a una professione come medicina, avvocatura (qui chi si laurea in legge, a differenza dell’italia poi fa l’avvocato) o insegnamento. Scendendo verso il basso, dai più ai meno fortunati nel trovare lavoro, troviamo i laureati in matematica e scienze (19,5% dei casi) in economia e business (26,2%), in scienze sociali (29,2%) in lettere e scienze umane (30,4%) per finire appunto con arte e design. Come si può intuire, conta anche molto quale Università si è frequentato, per cui chi va in università meno prestigiose ha tre volte in meno probabilità di riuscita di chi esce dall’empireo di Oxbridge, come chiamano gli inglesi i due grandi atenei.

Fin qui pare un poco la scoperta dell’acqua calda. Ciò che fa riflettere dello studio è l’aspetto dinamico: nel 1992 infatti, il tasso dei laureati che non trovavano un lavoro adeguato era solo del 20% rispetto al 30% attuale. Dopo di allora, infatti, spinti da un desiderio di maggiore equità e convinti che le future sfide economiche della globalizzazione necessitino di un più elevato grado di conoscenza, i Governi del conservatore John Major e, successivamente, dei laburisti Tony Blair e Gordon Brown hanno premuto sull’acceleratore. Dapprima hanno trasformato molte scuole politcecniche in Università e poi hanno spinto sempre più giovani all’accademia, premendo sugli atenei perchè accettassero un crescente numero di allievi provenienti dalle scuole pubbliche, malgrado queste continuino in Gran Bretagna ad essere molto più scadenti di quelle private. Il risultato è stato un inevitabile abbassamento della qualità degli studi secondari e una stratificazione delle Università con livelli di eccellenza molto diversi, come riflettono poi le assunzioni nel mondo del lavoro.

La morale è che per promuovere un sacrosanto criterio di eguaglianza sociale si è creato un sistema ipocrita che sposta la selezione al mondo del lavoro. Ma dato che non si può chiedere ai governanti di essere franchi e brutali col proprio elettorato, che va sempre accarezzato dalla parte giusta del pelo, sta forse agli individui compiere uno sforzo di fantasia e domandarsi se, in certi casi, piuttosto di vivere da frustrati pur di avere un pezzo di carta prestigioso solo sulla carta, non convenga fare un lavoro adatto alla propria natura e stare in pace con se stessi. Da un paio d’anni peraltro, i laburisti sono corsi ai ripari rirpistinando le scuole professionali che erano state abolite. Da oltre un decennio a Londra non si trova peraltro più un idraulico, elettricista, geometra, falegname, restauratore o meccanico capace di fare decentemente il proprio mestiere. E ciò malgardo tali professioni oggi siano pagate a peso d’oro. La sola uscita di un idraulico a buon mercato costa a Londra 75 sterline, pari a 105 euro. Non è un caso che negli ultimi 4 anni gli immigrati dai Paesi dell’Est Europa con buone abilità professionali, in particolare i polacchi, hanno riempito questi spazi creando numerose piccole imprese in un brevissimo arco di tempo. Meditate gente, meditate…