Manca poco alla scadenza fatale della Brexit e un accordo non è ancora in vista. I bookmaker danno una probabilità 50/50 alla “felice” conclusione della vicenda. E metà/metà è proprio l’impressione che il premier Boris Johnson ha interesse a lasciare per tenere l’audience con il fiato sospeso. Metà per tranquillizzare, sostenendo che il Governo di Londra ha intenzione di giungere a un’intesa, ma allo stesso tempo metà per mettere in guardia che il Premier britannico è pronto in qualsiasi momento a rovesciare il banco e chiudere la vicenda con un nulla di fatto senza rimpianti. Dietro a questa incertezza due scuole tendono a razionalizzare la situazione: una sostiene che Boris bluffa e un accordo ci sarà, mentre un’altra sostiene che Boris ha già deciso di andare per la propria strada con una hard brexit ma tira in lungo per potere alla fine voltare le spalle a Bruxelles e scaricare tutte le colpe sulla UE. I primi si avvalgono dell’argomento razionale secondo cui un accordo è nell’interesse di tutti, mentre i secondi sostengono che la destra del partito conservatore tiene Boris in ostaggio e vuole una rottura totale.
Io resto dell’idea che un accordo si farà perché il costo di una Brexit senza un trattato commerciale sarebbe insostenibile per Londra, specialmente in un momento così difficile come questo, gravato dalla pandemia del Covid combinata alla peggiore recessione economica dal dopoguerra. Boris è un pazzoide, eccentrico, narciso a volte irresponsabile (e incompetente), come ha mostrato nella gestione iniziale della pandemia, ma non è stupido. Per quanto il Governo continui a sostenere che il Regno Unito, anche senza un accordo, vedrà la propria economia decollare al di fuori della UE, messi alle strette, i rappresentanti del Governo non hanno mai chiarito perché vanno allora avanti a negoziare se la Gran Bretagna ha tutto da guadagnare tagliando ogni legame con la UE. La tesi del bluff è peraltro autorevolmente sostenuta da Tom Clarke, direttore del magazine Prospect. Clarke ricorda che Boris è abilissimo a creare polveroni, spingendo le situazioni fino al limite, come quando dopo la sua elezione ha sospeso dal partito colleghi che remavano contro o ha cercato di scavalcare il Parlamento con procedure d’urgenza creando un clima di forte agitazione salvo poi concludere l’accordo di divorzio con la UE in condizioni molto simili a quello negoziato da Theresa May, cinicamente voltando le spalle al Nord Irlanda che ora si ritrova commercialmente semi-distaccata dal resto del Paese.
Ora, con la minaccia di mandare le navi da guerra contro i pescatori francesi, con gli annunci a effetto che il Regno Unito mai e poi mai cederà alle richieste della UE di restare allineato con le regolamentazioni sulla concorrenza perché vuole recuperare la propria sovranità, Boris si prepara a replicare creando un nuovo polverone per poi scendere a miti consigli, sapendo che nello scontro muro contro muro con Bruxelles, Londra ha molto più da perdere rispetto all’Europa. La UE da parte sua ha mostrato una mirabile unità negoziale, resistendo alle richieste di Boris di discutere separatamente con Francia e Germania, incontrando Macron e la Merkel per ottenere l’appoggio di chi conta di più. Un atteggiamento peraltro offensivo verso gli altri Paesi Ue, compreso il nostro (che è uno dei 4 grandi e fa parte dei fondatori), che contano tutti uguali e per questo vengono rappresentati dalla Commissione al tavolo negoziale. Su questa vicenda peraltro varrebbe la pena di aprire un capitolo separato su Come Boris è riuscito a rovesciare secoli di diplomazia britannica, che ha sempre cercato di tenere il continente europeo diviso per indebolirlo e invece ha sortito l’effetto contrario di saldarlo a rischio di disintegrare l’unità del Regno Unito date le continue tensioni con la Scozia e ora i malumori di Galles e Nord Irlanda. Inoltre Boris sa anche che il Regno Unito è in una situazione anomala che non ha precedenti nella storia del commercio internazionale del dopoguerra. Questo è andato sempre più amalgamandosi e convergendo con la creazione di aree di libero scambio (UE, EEA, ASEAN e recentemente il RCEP) mentre la Gran Bretagna ora punta a divergere da una situazione di convergenza iniziale. Una situazione anomala per cui non sapendo all’inizio quanto Londra abbia intenzione di divergere, mette Bruxelles nella condizione di chiedere salvaguardie sulle mosse future. Londra non vuole legarsi le mani per il domani, accusando Bruxelles di volerla vincolare all’infinito, ma la UE vuole difendere giustamente il mercato unico chiedendo il rispetto di regole per chiunque voglia farne parte. Altrimenti liberi di starsene fuori.
La storia più buffa recentemente è giunta dalla minaccia di Boris di sbattere la porta per abbandonare totalmente la UE e modellarsi su un rapporto commerciale di tipo australiano con Bruxelles, fino a trovarsi in forte imbarazzo quando lo stesso premier australiano Malcolm Turnbull lo ha messo pubblicamente in guardia dal non perseguire tale opzione dato che < per l’Australia è lungi dall’essere ideale >. Lo stesso vale per quella canadese. Per quanto infatti il Governo Johnson si sforzi con contorsioni storiche e geografiche a negare la propria prossimità all’Europa per seguire un atteggiamento sempre più ideologico, la storia e la geografia insegnano che il commercio internazionale nasce con il proprio vicino di casa come testimonia il fatto che quasi il 50% del commercio UK avviene con la UE con un import/export di 550 miliardi di sterline rispetto a 540 miliardi del resto del mondo di cui solo 90 miliardi con il Commonwealth con buona pace per chi vuole che India, Pakistan, Canada, Asustralia e Nuova Zelanda prendano il posto della UE.
E a questo punto, davanti a un atteggiamento temerario, che non regge per logica economica, viene spontaneo porsi la domanda su quanto Boris sia un vero duro, pronto a giocarsi il tutto e per tutto. O se invece sia soltanto un gran commediante auto referente e narciso che alla fine trae piacere semplicemente dall’esercizio del potere. Su questo fronte Boris si è dimostrato tutt’altro che churchilliano come vorrebbe accreditarsi. All’inizio della pandemia ha infatti esitato a prendere misure draconiane per quanto avesse un mese di ritardo/vantaggio sul resto d’Europa e con un calcolo miope da bottegaio ha fatto andare l’economa finché si è creata un’ecatombe e l’UK ha preso il primato dei decessi in Europa. Ora, nuovamente, per calcolo economico a breve e per guadagnare la simpatia della gente ha permesso, malgrado le continue messe in guardia delle autorità mediche, che durante le feste di Natale possano incontrarsi ben 3 nuclei famigliari tra il 24 e il 27 dicembre, lasciando un’implementazione più restrittiva alla discrezione di ognuno. Salvo poi fare retromarcia in fretta e furia, creando un nuovo girone di restrizioni ancor piu’ dure (Tier 4) soltanto 48 ore dopo, quando e’ emerso che una nuova variante di virus sta moltiplicandosi a una velocità del 70% superiore a quello attuale. Questo atteggiamento pilatesco e di rimando, gli è costato la rivolta di Galles e Scozia che avevano peraltro già varato misure più rigide rispetto all’Inghilterra con il Nord Irlanda pronto a seguire. Il tabloid Mirror si è spinto perfino a dargli in prima pagina del codardo con un titolo a caratteri cubitali. Più che a Churchill siamo insomma davanti a un Capitan Fracassa, rumoroso e un po’ cialtrone, pauroso e pasticcione ma abile incantatore e consumato attore. Con a mio avviso sul fondo un istinto di sopravvivenza. Per questo credo che un accordo con la UE in qualche modo si farà.