Dopo l’accordo con la UE, una Brexit tutta da inventare

Come avevamo previsto, l’accordo tra Londra e Bruxelles c’è stato. Una rottura sarebbe stata troppo costosa, con il rischio di disagi, spaccature e crisi economica che si sarebbero inevitabilmente tradotti in forti perdite di consenso nei confronti del Governo Johnson, mentre imperversa una grave emergenza sanitaria dai risvolti ancora da valutare. A Johnson va reso atto che, al di là di una serie di concessioni fatte a Bruxelles, ne ha ottenute altrettante da parte sua, portando a casa un accordo che a Londra darà in futuro forti margini di libertà. Con la libertà si profila però allo stesso tempo un periodo di forte incertezza, certamente nel breve-medio termine. É certo che, lasciando la UE, Londra si troverà in condizioni commerciali rispetto all’euroblocco peggiori che in precedenza, con costi aggiuntivi, maggiore burocrazia sul fronte doganale e il rischio di subire tariffe in caso di dispute. Questa difficoltà iniziale non verrà compensata nel breve-medio termine da accordi con altri Paesi che possano controbilanciare il peggioramento delle relazioni con la UE. Una scommessa che pare in questa fase un atto di fede, piuttosto che una mossa basata su un calcolo razionale e dati di fatto. Anche perché c’è poco da verificare. E ciò considerando che ci sono pochi precedenti storici di accordi commerciali per cui le parti, invece che convergere, come è sempre stato dall’immediato dopoguerra a oggi, è stato concluso per gestire una divergenza, dunque un impoverimento. Ma per Londra la proposizione è semplice: abbandoniamo la UE perché ciò che perdiamo oggi lo recupereremo con gli interessi dal commercio col resto del mondo. La nostra economia è dinamica, flessibile e innovativa e potremo cogliere al meglio le opportunità al di fuori della UE. Questa promessa, dal 1 gennaio, verrà sottoposta quotidianamente a verifica. Per Boris Johnson sarà una prova assai impegnativa, dato che il peggio si profila all’inizio: prima che le cose eventualmente migliorino egli dovrà provare di saper navigare in acque agitate prima di entrare in mari più calmi. E ciò potrebbe essergli politicamente dannoso.

Dell’accordo non sappiamo ancora molto in dettaglio, dato che si tratta di circa 1300 pagine di disposizioni con clausole e annessi al vaglio di media ed esperti che comunque dovranno affrontare la prova della pratica quotidiana. Presto è ancora per dire chi ha dato e concesso di più. Anche perché ciò che può apparire come una perdita oggi può diventare un guadagno domani. Per dare ai lettori una prima guida  interpretativa basti dire che l’accordo riguarda in massima parte la regolamentazione degli scambi di beni fisici e in parte assai minore dei servizi. Sui beni possiamo dire che il match si chiude in pari: sulla pesca Londra aveva chiesto di tornare sovrana sulle proprie acque dopo tre anni, mentre Bruxelles ne chiedeva 10. Ora Londra ottiene subito il 25% di sovranità e il resto tra 5 anni. Inoltre la Corte europea di giustizia non avrà più giurisdizione sulle dispute commerciali. Una vittoria per Londra. Infine, altro punto a favore di Londra il fatto che l’accordo, al primo gennaio e a bocce ferme, le garantisce scambi di merci fluidi, senza barriere doganali.

Il punto è che, come abbiamo detto, Londra vuole divergere, mentre Bruxelles per garantire il proprio mercato interno vuole che Londra segua le stesse regole e standard europei. Domani Londra parte allineata, ma poi che avverrà? Guardiamo ad esempi concreti. L’accordo non prevede tariffe, ma se in futuro una delle parti  prendesse misure che l’altra considerasse lesive dei propri interessi, questa si sentirà in diritto di imporre tariffe riparatrici, peraltro non necessariamente sugli stessi prodotti ma magari su altri. Come si comporteranno e quanto peseranno i prossimi meccanismi arbitrali dato che la Corte Europea viene esclusa? Per ora si sa poco ma già è certo che, laddove una volta c’era certezza di scambi fluidi e tranquilli, ora nulla è più garantito. La situazione si fa assai più complessa nel campo dei servizi, in cui Londra si considera forte e vuole avere le mani libere, ma in cui Bruxelles vuole evitare di avere davanti una concorrenza sleale. In questo campo la vaghezza dei termini dell’intesa raggiunta porta a molte preoccupazioni. E qui si apre il grande enigma che sta dietro al concetto di equivalenza le cui chiavi sono in mano a Bruxelles. Esempi: il riconoscimento reciproco di qualificazioni professionali: non saranno più automatiche e ci vorrà un nuovo schema da stabilire. Il trattamento di dati riservati: non sarà più automatico e certamente non sarà più rapido come prima. Londra ottiene una moratoria di 4+4 mesi per trovare una soluzione ma otterrà condizioni peggiori di prima. Standard qualitativi: non ci sarà più riconoscimento automatico e Londra dovrà subire il vaglio UE. Sicurezza e polizia: Londra perde l’accesso automatico e immediato ai database Europei e dovrà trovare un nuovo rapporto. Servizi finanziari: le società UK non avranno più accesso automatico al mercato unico. Certo, l’argomento ha due facce ma già da ora è chiaro che è molto più importante che Bruxelles conceda l’equivalenza a Londra perché acceda a un mercato di 500 milioni rispetto all’accesso di Bruxelles a un mercato di 68milioni. Inoltre, per quanto riguarda la vita concreta dei cittadini europei e britannici che prima circolavano liberamente con vantaggi reciproci, ecco alcuni esempi: per l’Erasmus gli studenti inglesi non avranno più accesso a stages alle Università europee. Roaming dei telefonini: quasi certamente chi risiede in UK quando andrà in Europa dovrà pagare bollette più care. Circolazione delle persone: i cittadini britannici potranno stare nella UE solo per 3 mesi dopodiché per soggiornare più a lungo dovranno munirsi di un visto. Nel caso della circolazione delle persone pensiamo ai disagi del milione e mezzo di britannici che abitano nella UE oltre a quelli che possiedono proprietà in Europa e ora dovranno fare dei visti per andare in casa propria in Francia o Spagna. Carta sanitaria Europea: varrà fino a scadenza poi verrà sostituita da una carta globale promessa da Johnson ma tutta da studiare. Cagnolini: l’attuale passaporto non vale più ma potranno ancora circolare con documenti però più complicati da ottenere. Patente inglese: riconosciuta ma da verificare in che misura. Per concludere: abbiamo fatto una prima veloce carrellata dei disagi iniziali che subiranno gli inglesi e con essi i 4 milioni di europei che abitano nel Regno Unito, oltre al milione e mezzo di inglesi che vivono sul continente. C’è solo da augurarsi che tutti questi ostacoli che si preannunciano inizialmente verranno ripianati con l’andare del tempo. Ma la domanda che resta inevasa è questa: era proprio necessario crearli.?

 

 

  • Luciano Persiani |

    Ma sì libertà di sfruttare i più poveri,di dare stipendi da fame,di imbrogliare i più deboli,di evadere le tasse,di curare solo i ricchi,homo homini lupus saremmo tutti armati e più felici!!!

  • habsb |

    egr. sig. Lombardi

    il mondo di cui Lei parla, e che siamo almeno in due ad auspicare, è già esistito in passato.

    In seguito all’introduzione delle ferrovie, fine ottocento, gli europei circolarono liberamente in tutta Europa, e nessuno si sognava di chieder loro un passaporto.

    Purtroppo la prima guerra mondiale ci porto’ un gran numero di sventure : l’imposta sul reddito e il controllo dei passaporti.
    Queste misure furono introdotte come temporanee e giustificate dalla situazione eccezionale della guerra.
    E invece sono rimaste.
    E siamo arrivati al delirio che per sapere cosa si puo’ vendere o comprare in GB bisogna studiare un libro di 1300 pagine, scritto da persone che nessuno ha mai eletto.

  • Roberto lombardi |

    Continuo a domandarmi perché l’uomo deve limitare la propria libertà complicandosi la vita alla ricerca di regole complicate e costose. Perché un paese non può acquistare e vendere liberamente. Il vero libero mercato porterebbe sempre più stimoli e motivazioni a fare meglio, creando innovazione, qualità, economia. Il libero transito e permanenza dei cittadini, mondiali, porterebbe benefici negli scambi culturali, professionali e artigianali. Un mondo utopico? No. Un mondo semplice e Democratico, veramente democratico e non le finte democrazie che ci propinano le varie “Comunità”.

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