Boris Johnson è tornato al timone, dopo un mese di malattia, in tempo per assistere a due eventi assai forti: uno lieto, di carattere personale, ossia la nascita di un nuovo figlio (il quinto, il sesto o il settimo secondo le fonti) dalla sua compagna Carrie Symonds e un altro funereo, con la revisione al rialzo di oltre 4mila morti delle statistiche dei decessi britannici da Corona Virus. Quest’ultimo rischia, entro pochi giorni, di collocare il Regno Unito in seconda posizione dopo gli USA nella graduatoria delle vittime della pandemia. Un triste primato che, inevitabilmente, costringe a riflettere sui problemi strutturali che il Paese si trova ad affrontare.
Dopo una parentesi di cessate il fuoco, durato, per rispetto alla vittima, il periodo della malattia di Johnson, che se l’è vista brutta, passando tre notti in rianimazione, una buona parte dei media e i critici del premier hanno ripreso ad alzare la voce, accusando il Governo di patente inadeguatezza davanti alla crisi. Per la verità, a parte la virtuosa Germania di Angela Merkel, nessun Paese europeo è stato al riparo da critiche negli ultimi due mesi. Il problema del Regno Unito è però accentuato dal fatto che da tempo si sapeva dello stato di abbandono in cui versa il sistema sanitario nazionale, proprio a causa di una politica di disinvestimenti voluta dai conservatori negli ultimi dieci anni. Prima dello scoppio della pandemia, rappresentanti dei medici avevano già messo in guardia delle difficoltà che si sarebbero manifestate durante il ciclo influenzale invernale, a causa di carenze di personale e di posti letto. Puntualmente e tristemente, le carenze si sono moltiplicate e manifestate nel modo più palese, mettendo a nudo l’inadeguatezza del sistema.
Alla mancanza di materiale medico, passando per la carenza di personale, ai disguidi di acquisti di materiali, alla mancata partecipazione a un programma che aveva offerto la UE sui respiratori (per incuria o ideologia brexitara non si capisce bene) al mancato raggiungimento del promesso obiettivo di 100mila test (tamponi) giornalieri entro fine aprile, mancato al 50% (siamo poco sopra 50mila) il Governo britannico non ci ha fatto una bella figura. Va però rilevato che, paragonato ad altri Paesi si tratta di peccati a prima vista veniali, problemi che capitano a tutti quanti i Governi che sono stati colti di sopresa dalla pandemia, a cominciare da quello Italiano.
Il problema di Boris Johnson è stato quello di trovarsi in ritardo su tutto, malgrado avesse un vantaggio di quasi un mese sull’Italia. Per esitazione, incuria, superficialità, disorganizzazione, conditi da un’iniziale arroganza nella convinzione di avere una soluzione migliore degli altri (a partire dalla famigerata immunizzazione di gregge) il Governo ha perso tempo prezioso che oggi, secondo i critici, si tradurrebbe nelle migliaia di morti che si potevano evitare. Sopra tutte le carenze, la rivelazione che per ben 5 weekend Johnson non si è dato la pena di presiedere le riunioni del Cobra, il comitato del Governo che si riunisce per affrontare le situazioni di emergenza. A discolpa di Johnson va rilevato che la faciloneria è una componente fondamentale del suo agire, per cui ha pagato un alto prezzo personale per non avere preso precauzioni egli stesso. Cosi’ le battute con cui liquidava inizialmente la gravità della situazione nel Paese gli si sono ritorte contro tragicamente.
Ora che Boris è tornato in sella, anche se non ancora con le energie che aveva un mese fa, sta arrivando la resa dei conti. Al momento Boris può contare tra i sostenitori su un capitale di simpatia che gli deriva dall’avere pagato un prezzo personale, oltre alla tenerezza causata dalla nascita di un nuovo erede. Ma questo capitale rischia di erodersi rapidamente se la situazione continuasse a peggiorare. Dalla sua in questo momento il Regno Unito può vantare i buoni risultati raggiunti da un team dell’Università di Oxford nello sviluppo di un vaccino contro il virus. Un’eccellenza tipicamente britannica. Un’eccellenza come molte altre su cui l’approccio anglosassone (vale per gli USA) ha sempre fatto leva a scapito di mantenere una media più alta come negli altri Paesi europei. Purtroppo davanti a un’epidemia, che colpisce indistintamente tutti e penalizza in particolare le classi più sfavorite, questo approccio ha mostrato chiaramente i suoi limiti. E la rincorsa per recuperare il tempo e il terreno perduto rispetto a Paesi più virtuosi si sta mostrando un esercizio assai difficile.