Le tratte ferroviarie del Nord dell’Inghilterra, che movimentano annualmente 101 milioni di passeggeri tramite 2500 servizi giornalieri, verranno nazionalizzate. La società concessionaria Arriva, parte del colosso tedesco Deutsche Bahn, dovrà passare la mano in marzo. Lo ha annunciato il ministro dei Trasporti, Grant Shapps. La situazione era diventata operativamente ed economicamente insostenibile. E’ inoltre questione di mesi e anche la tratta del South West, che collega Londra con Brighton, Southampton, Portsmouth Exeter ed è oggetto di lamentele e contumelie da parte di un pubblico frustrato da anni di disservizi (è la linea che passa tra l’altro per l’aeroporto di Gatwick) seguirà la stessa sorte. Si chiude così la parte più ardita delle privatizzazioni volute da Margaret Thatcher negli anni ’80 e realizzate nel crepuscolo dell’era ideologica dei Tory dal Primo Ministro John Major a metà anni ’90. Fu evidente fin dai primi anni (1993-97) che la privatizzazione delle ferrovie non funzionava. Lo scompiglio degli orari, gestiti separatamente da diverse società, la separazione della gestione delle tratte dalla infrastruttura portarono a pericolosi scollamenti operativi che furono in parte causa di una serie di catastrofi ferroviarie che tra il 1993 e 2005 provocarono 100 morti e oltre 1000 feriti, quanto una battaglia, di cui soltanto 31 (e 536 feriti) nel 1999 a Ladbroke Grove, non lontano dal quartiere di Notting Hill. Una deriva che il Governo Blair aveva tamponato solo in parte davanti a crescenti disservizi, dopo avere seguito nei primi anni la linea conservatrice delle privatizzazioni dei predecessori Tory. Nel 2002, Railtrack, la società che controllava le infrastrutture e che i Tory avevano messo in Borsa, fu rinazionalizzata e spazzata via dal listino. Oggi la mossa governativa sulle tratte del Nord, che copre un’area che va dal Cheshire al Northumberland, segue una prima privatizzazione forzata avvenuta sotto Theresa May nel 2018, dopo il collasso della linea East Coast.
Per chi ama le teorie e le ideologie la delusione è grande. Grande è infatti la confusione sotto il cielo. Il mite John Major, conservatore moderato che negli ultimi due anni si è battuto a spada tratta contro la Brexit per restare in un’Europa che la destra Tory pro-Brexit considera socialdemocratica, figura oggi come un estremista del liberismo e delle privatizzazioni. Il roboante Boris Johnson, che ha guidato l’agenda della destra del partito pro Brexit, quella degli eredi della Thatcher degli anni ’80, spina nel fianco per un decennio per Major, si sta trasformando in socialdemocratico. Il Governo si e’ infatti impegnato anche a investire 500 milioni di danaro pubblico per riaprire delle tratte a Nord del Paese che erano state tagliate negli anni ’60 (in parte sotto il laburista Wilson, udite udite) perché considerate non redditizie. Cose da archeologia sociale. La mossa é vista come il seguito della promessa di Boris Johnson di ridare poteri al Nord del Paese dove una parte dell’elettorato operaio e laburista lo ha votato. A rendere la situazione ancor più ironica peraltro concorre il fatto che i Tory hanno stravinto le elezioni di dicembre dipingendo la linea del laburista Jeremy Corbyn come paleosocalista e dannosa per il Paese a causa della politica di nazionalizzazioni che promuoveva, prima tra tutte quella delle ferrovie… Con buona pace dei tempi andati quando la Thatcher e i suoi seguaci predicavano il Vangelo delle privatizzazioni ai cugini europei.. Ma tant’è, viviamo tempi di straordinaria confusione ideologica che l’emergenza del nuovo Premier etoniano-operaio con grande cinismo incarna al meglio.