E ora si fa largo Boris il peronista

Diceva Deng Xiaoping : < non è importante che un gatto sia bianco o nero, basta che acchiappi i topi >. Il piccolo (di taglia) grande leader cinese succeduto al patriarca Mao Tsedong, con questo detto simbolizzava una nuova era per la Cina, seguita a un ventennio di ubriacatura ideologica voluta da Grande Timoniere. Basta con le ideologie e le dispute attorno al loro grado di purezza, su cui si costruivano lotte di potere e si mandavano nei lager a rieducare milioni di persone. Tempo di badare al sodo, di essere pratici e di seguire le leggi dell’economia. La formula innestò un quarantennio di crescita che ha portato oggi la Cina a essere la seconda economia del mondo.

Pensando in questi giorni a quanto sta accadendo nel Governo inglese, pare di vedere in Boris Johnson un Deng a parti rovesciate. Basta con la tirannia dell’economia, l’ossessione dei Tory dei conti in ordine, o ideologie preconcette come le privatizzazioni. Viva il primato della politica, alla faccia delle conseguenze economiche. Abbiamo promesso di fare della Brexit una storia di successo. Abbiamo catturato consensi tra le classi operaie del Nord. L’uscita dalla UE ci costerà in sussidi europei mancati, in una riduzione del commercio, in un aumento dei dazi e un probabile rallentamento dell’economia? Bene, sono contrattempi che non possiamo permetterci. Dobbiamo mettere mano al portafoglio e spendere seriamente per tappare le falle e rilanciare il Paese. Sono necessarie grandi opere, opere faraoniche, all’altezza delle ambizioni del Premier. In primis la cablatura con il 5G con il sostegno parziale dei cinesi a costo di scontrarci con le ire di Trump. Non c’è tempo da perdere. Poi un massiccio investimento, stimato oggi in 106 miliardi di sterline sull’alta velocità ferroviaria per rilanciare il Nord del Paese, unendo Londra con Birmingham e da lì salendo e biforcando su Manchester e Leeds. E ciò non è che un antipasto della corsa alla spesa che potrebbe attendere il Paese. Questa contempla, tra i vari annunci a effetto, un mega-ponte tra las Scozia e il Nord Irlanda (da Portpatrick a Larne) dal costo stimato in circa 20 miliardi di sterline, 30 nuovi ospedali, l’assunzione di 50mila infermieri per il servizio sanitario, 3mila nuovi autobus urbani ecologici e 20mila poliziotti in più per le strade del Paese, quanti erano stati tagliati da Theresa May per pareggiare i conti. Forse per questo motivo, il controllo del ministero del Tesoro, allineandolo ai desiderata dell’ufficio del Primo ministro, si rivelava essenziale. E, al di là degli scontri di personalità, forse così si possono  spiegare le dimissioni shock del Cancelliere dello Scacchiere, Sajid Javid, in occasione del maxi-rimpasto di Governo del 13 febbraio scorso. Dimissioni che sarebbero peraltro legate al desiderio di Johnson, contrastato da Javid di aumentare le tasse per pagare per le forti spese.

Da sempre ai vertici della politica britannica, il Cancelliere dello Scacchiere ha un ruolo importantissimo, secondo solo al Primo ministro. Un ruolo consacrato formalmente dal fatto che il Cancelliere sta al N 11 di Downing Street, il palazzo accanto a Number 10. Un privilegio unico. Il Cancelliere ha sempre avuto un’identità ben distinta, incarnando la voce della ragione e della responsabilità, custode del buon andamento dei conti pubblici. Un ruolo di grande potere, basti pensare a Gordon Brown quando Tony Blair era premier. Fu un decennio in cui Brown costruì un feudo separato, avendo voce in capitolo su tutte le maggiori decisioni economiche. Fu un trampolino da cui preparò l’assalto finale a Downing Street, succedendo a Blair nel 2007. John Major, che fu premier prima di Blair per un settennato, fu Cancelliere sotto la Thatcher per oltre un anno tra il 1989 e 1990, implementando la politica di privatizzazioni. Kenneth Clarke fu un potente cancelliere sotto Major tra il 1994 e 1997. Lo stesso fu George Osborne per David Cameron, che poco se ne intendeva di economia e, recentemente, Philip Hammond con Theresa May. Sotto questi due ultimi cancellieri, il Regno Unito ha attraversato un periodo durissimo di quaresima per rimettere in sesto i conti pubblici dopo lo scoppio della bolla nel 2008. Una politica che ha impoverito le classi medio-basse che ancora oggi non sono tornate ai redditi reali che avevano 12 anni fa. E che Boris ora dice di vuole sostenere.

Johnson non poteva permettersi di trovarsi nella versione classica di un potere bifronte a Downing Street dove il Cancelliere (come fece Brown per anni) con i suoi uomini conduceva una guerra di trincea contro il premier, criticandolo tramite il suo staff nei briefing off the record con i media. Né poteva ovviamente permettersi un dissenso pubblico del Cancelliere in caso di decisioni dubbie sul piano di bilancio. E il cancelliere molto probabilmente aveva fiutato il vento, con il rischio di passare alla storia come il ministro delle Finanze Tory che avrebbe sballato i conti dello Stato perché incapace di arginare un premier debordante. Un premier che ieri, alla prima riunione del nuovo Governo post-rimpasto ha mostrato quanto ha in pugno la situazione trattando giocosamente davanti alle telecamere i colleghi ministri come un gruppo di scolaretti. Tanto che media parlano ormai di Re Boris e dei suoi cagnolini. La scelta del nuovo cancelliere Rishi Sunak, uno sveglio trentanovenne ma alle prime armi negli ingranaggi di Governo, la dice lunga sul desiderio del premier di mantenere la situazione sotto controllo di Downing Street. L’ufficio del premier, sotto la guida di David Cummings, personaggio controverso e prepotente, ha scelto direttamente i nuovi consiglieri del neo ministro del Tesoro. Decisione a cui si era opposto Javid a costo delle dimissioni. Ieri peraltro è emerso nei media che il Governo starebbe negoziando con il Governo cinese un mega appalto per ridurre i costi dell’alta velocità di quasi la metà e con 5 anni di anticipo. La notizia è stata smentita seccamente dal ministro dei trasporti Grant Shapps che ha messo in chiaro che si creerebbero dei problemi di metodi, standard e procedure di lavoro che urterebbero con gli standard vigenti. Infatti  che procedure di sicurezza seguirebbero i cinesi sui cantieri? Quale la qualità dei materiali? Verrà mano d’opera cinese buon mercato a eseguire i lavori? Il solo fatto che circolasse questa ipotesi però la dice lunga sulle aspettative che ci sono su un futuro mercato inglese aperto a ogni esperienza, lontano dai lacci della euroburocrazia.

C’è poi un tema più di fondo che ha fatto macerare i Governi conservatori precedenti sulla realizzazione della tratta HS2 mentre il preventivo dei costi negli ultimi 10 anni triplicava. Siamo sicuri che un collegamento ferroviario basterà per rilanciare il Nord del Paese o la regione ha problemi ben più radicati da risolvere, dovuti a una de-industrializzazione che non ha mai più trovato un modello di sviluppo alternativo? Uno sviluppo che Londra ha saputo cogliere, diventando la città più dinamica e ricca d’Europa. Una città a cui il suo ex-sindaco diventato premier sembra ora volgere le spalle per fare contenta la classe operaia del Nord. Ma con Boris tutto cambia, di volta in volta, sulle ali di un neo populismo che ricorda più Peron, che notoriamente portò l’economia Argentina verso il baratro, piuttosto che il vecchio Deng Xiaoping, che portò la Cina al miracolo economico.