La decisione della Camera dei Lord di votare a maggioranza schiacciante (358-256) due giorni fa in favore della protezione dei diritti di permanenza dei cittadini europei residenti nel Regno Unito post Brexit vale una seria riflessione in tempi di democrazia plebiscitaria. La decisione è stata di grandissimo buon senso. L’argomento a favore infatti ruotava attorno al fatto che è ingiusto cambiare le carte in tavola nei confronti di persone che in buona fede, seguendo le leggi vigenti nella UE, si erano stabiliti nel Regno Unito prima del referendum. Secondo i Lord, la situazione di incertezza in cui si trovano oggi i 3,2 milioni di europei residenti che contribuiscono al successo dell’economia del Paese deve cessare al più presto. Non è infatti concepibile che costoro si trovino da 8 mesi paralizzati nel programmare la loro vita in termini di lavoro, alloggio e futuro dei loro figli, nel caso della stragrande maggioranza di chi risiede con famiglia. Una situazione particolarmente frustrante nei moltissimi casi di coppie miste che hanno radici nel Paese da numerosi anni.
Il Governo di Teresa May, a onor del vero, aveva cercato di risolvere la questione rapidamente, decidendo una sanatoria prima della decisione di invocare l’articolo 50 che apre le porte alle trattative sulla Brexit. La UE, specialmente su pressione di Francia e Germania, non ha voluto però avviare alcuna discussione con Londra prima dell’avvio delle trattative ufficiali che sono previste entro fine marzo. L’idea era di evitare negoziati bilaterali à la carte che rischiavano di dividere i Paesi dell’Unione. Per rappresaglia Londra ha dunque deciso di non decidere e lasciare il destino dei 3,2 milioni sospeso nel vuoto, tenendoli come merce di scambio fino a che la UE non darà garanzie di reciprocità sul milione e passa di britannici che vivono nei Paesi UE.
In apparenza il ragionamento sembra equo. Ma ci si dimentica che la decisione di lasciare la UE è stata presa unilateralmente dalla Gran Bretagna e che questa è per certi versi moralmente responsabile nei confronti degli europei che vi risiedono in buona fede e legalmente. Tenerli dunque in un limbo che rischia di protrarsi per altri due anni, ossia fino alla conclusione del negoziato, sarebbe una crudeltà. Per questo motivo i Lord hanno giudicato nel merito, simpatizzando con i cittadini europei. Un gesto di magnanimità, peraltro, difficilmente verrebbe respinto dagli altri Paesi della UE che ovviamente concederebbero le stesse condizioni ai cittadini britannici. Questi, con l’eccezione di poche centinaia di migliaia che vivono in Francia e Spagna, sono peraltro sparsi in piccoli contingenti negli altri 25 Paesi europei e da nessuna parte hanno una massa critica che ne destabilizza gli equilibri sociali al punto da renderli oggetto di una trattativa.
I Lord si sono dunque dimostrati magnanimi a fronte di un Governo che è apparso meschino, timoroso di mostrarsi debole nei confronti del gruppo di eurofobi che gli tiene il fiato sul collo. Ma in politica i sentimenti contano fino a un certo punto. I Lord hanno infatti mostrato anche grande senso di opportunità politica, coscienti del fatto che i 3,2 milioni di europei contribuiscono in modo cruciale al successo economico del Paese. Rimpatriarne anche una piccola parte rischierebbe di essere destabilizzante sull’economia, oltre a creare profondo disagio e insicurezza nei confronti degli altri che si sentirebbero potenzialmente minacciati da restrizioni successive. Peraltro, lo stato di incertezza esistente, ha già spinto numerosi europei a fare le valigie e lasciare il Paese, con ripercussioni sul mercato immobiliare che, in particolare nel centro di Londra, si è fortemente deprezzato. A differenza dei migranti extracomunitari, che cercano una nuova vita all’estero spinti dalla disperazione, molti europei possono permettersi il lusso di tornare a casa propria o trasferirsi in un altro Paese UE se si sentono indesiderati.
La riflessione più generale è l’importanza di avere una Camera di revisione in tempi di democrazia mediatica e plebiscitaria fortemente influenzata dai social media. Prima del referendum sulla Brexit, circa due terzi della Camera dei Comuni simpatizzava per restare nella UE. Dopo il referendum, il voto parlamentare che ha dato il via al processo è stato completamente capovolto, con 498 in favore della Brexit e solo 114 contro. Ben pochi parlamentari si sono infatti sentiti di contraddire il verdetto del “popolo”, mantenendo l’opinione che avevano prima del 23 giugno. Tra le decisioni passate a grande maggioranza dai Comuni, anche quella di lasciare gli europei residenti appesi come panni al sole. Richiesti di un voto in materia, i Lord, per quanto su un tema limitato, hanno mostrato coraggio. Pochi giorni dopo, il 7 marzo, i Lord hanno nuovamente votato con una maggioranza ancor più forte, di 366 a 268, per chiedere al Governo di concedere un voto finale al Parlamento sull’esito delle trattative della Brexit, sostenendo che l’accordo con la UE deve essere approvato o bocciato dal Parlamento se questo ritiene che non sia equo. Non pare che i Lord chiedano la luna, dal momento che l’accordo tra UK e UE sarà peraltro oggetto di un voto finale da parte di ciascuno dei 27 parlamenti degli altri Paesi dell’Unione. L’ironia della sorte vuole che la difesa di diritti dei cittadini UE e dello stesso parlamento britannico sia finita in mano a una Camera non eletta ed “elitaria”, secondo la vulgata del momento. Il fatto è che i Lord, che non sono soggetti alla pressione del consenso popolare, hanno dimostrato di ragionare a mente fredda e mostrare saggezza. Ora il loro voto può essere nuovamente rovesciato da un voto pro-governativo alla Camera dei Comuni, ma è un fatto che l’altolà dei Lord al Governo ha fatto rumore.
Si può certamente discutere della necessità e dei rischi di una camera di revisione, specie se non eletta. Ma da quando i Lord hanno perso il potere di bloccare le leggi, mantenendo soltanto la capacità di rallentarne l’iter e suggerire delle modifiche, si sono dimostrati preziosi. E ciò già dai tempi di Tony Blair (che ne aveva ridimensionato i poteri), quando hanno drasticamente riformato le leggi liberticide anti-terroristiche che proponevano sterminati fermi di polizia (fino a 90 giorni) sull’onda del panico degli attentati di Londra. A riprova che una Camera Alta che mostra equilibrio e professionalità è un arricchimento per la democrazia. In linea con quanto avevano pensato, sebbene in condizioni ben diverse, i padri fondatori nell’antica Grecia.