Il protezionismo non può domare la nuova economia

Imprenditore immobiliare, Donald Trump non può essere certamente considerato un araldo della nuova economia. Antico come il mondo, il pianeta degli immobili non è certo il migliore osservatorio per capire l’economia del futuro e i suoi sviluppi. Per questo, il protezionismo di Trump è piuttosto preoccupante, in primis per gli USA,  dato che vuole proteggere settori dell’industria ormai moribondi che da anni hanno trasferito gli impianti all’estero (come l’auto, l’alimentare, la farmaceutica, per citarne alcuni) mentre pare capire poco o niente di quanto sta accadendo con la rete e le nuove tecnologie, che stanno cambiando tutti i paradigmi produttivi su scala globale, facendosene un baffo delle dinamiche commerciali tradizionali.

Se e’ vero infatti che le grandi aziende di molti Paesi avanzati hanno ridotto i posti di lavoro nazionali in settori tradizionali perché hanno trasferito le attività produttive nei Paesi in via di sviluppo per abbattere i costi di produzione, è anche vero che negli stessi Paesi le industrie legate alle nuove tecnologie falcidiano a un ritmo ben più rapido posti di lavoro. In campi come i trasporti, le consegne a domicilio, il telemarketing, la contabilità, modelli matematici creano algoritmi che erodono tutti i lavori suscettibili di legami con numeri e misurazioni: per fare un esempio, non sono lontani i tempi in cui molti medici perderanno il lavoro perché la diagnostica eseguita da un computer sarà molto più accurata della loro diagnosi fatta su una visita “approssimativa” di un quarto d’ora. Il lavoro di un contabile non sara’ mai accurato quanto quello di un computer. L’intelligenza artificiale è alle porte e, come notava il futurologo Laurent Alexandre in una recente apparizione in commissione parlamentare in Francia, i lavori a rischio “sono quelli che non riescono ad aggiungere valore a un algoritmo”. E’ lo scenario più inquietante, quello di trovarsi incalzati dai computer in lavori a livello sempre piú alto. Altra cosa, secondo gli esperti, è la prepotente avanzata dei robot, che fortunatamente eseguono lavori che viene detto loro di fare come moderni schiavi, per quanto sofisticati. Robot che comunque saranno destinati a soppiantare numerosi lavori manuali.

Davanti a uno scenario del genere, che si alimenta con la crescente connessione del pianeta, l’atteggiamento protezionistico di Trump ricorda quello del cane che abbaia alla luna. E non stupisce che il nuovo presidente americano sia entrato nel mirino di tutti i colossi che dalla rete traggono linfa vitale come Apple e Facebook, soltanto per citarne un paio. Ciò che preoccupa e appare allo stesso tempo patetico è la reazione tradizionalista dei politici in generale ai cambiamenti profondi in atto. Il gioco delle accuse ai diversi, agli immigrati, alla concorrenza straniera, alla UE all’Onu e via inveendo, tra pochi anni si rivelerà inutile perché non sarà soprattutto servito a trovare i giusti rimedi per difendere gli interessi nazionali. Pensate che secondo un recente annuncio del Governatore della Banca d’Inghilterra (vedi il mio blog “la mattanza tecnologica dei posti di lavoro”) i posti di lavoro a rischio dall’impiego delle nuove tecnologie nella sola Gran Bretagna nei prossimi 20 anni sono 16 milioni…. un terzo della forza lavoro del Paese.

Per cui, Mr Trump, e con lei tutti gli emergenti nazionalisti e neo-protezionisti, prima di tirare su il ponte levatoio contro i lupi famelici delle foreste circostanti, date un occhio alle termiti tecnologiche che avete in casa che stanno erodendo le strutture portanti e cambiando la vita alla gente . Studiate meglio quanto sta accadendo e approntate legislazioni che tengano conto delle compatibilità del mondo del lavoro con le nuove tecnologie esaltandone i vantaggi e smussandone le asperità. Soprattutto astenetevi dalle zuffe preistoriche sugli immigrati e sul commercio internazionale. Quelli ci sono sempre stati e il mondo è sempre andato avanti. Il vero cambiamento sono le nuove tecnologie ed è necessario muoversi ora pensando al modello di società in cui vogliamo vivere.