Non sarà soltanto la pancia dell’Inghilterra profonda, delle campagne e delle città minori, a sostenere il Brexit. A mano a mano che il tempo passa stanno infatti aumentando i sostenitori dell’uscita dalla UE nelle file dei laburisti. Il partito, tentennante sotto la guida di Jeremy Corbyn, non ha infatti mostrato finora la passione e l’impegno necessari per difendere davanti ai propri elettori e al Paese la causa in cui crede, ossia quella di rimanere nella UE. Simpatizzanti ed elettori, per parte loro sempre più confusi e spaventati dall’immigrazione, si stanno allontanando dalle direttive del partito in quantità crescenti, attratti dalla melodia dei pifferai del Brexit.
A differenza dei Tory, spaccati in due come una mela, la grandissima maggioranza del partito laburista è a favore della UE. Lo stesso non vale però per i suoi elettori. Il Labour si trova dunque davanti a una dilemma lacerante: ridurre il proprio filo-europeismo per non ridurre la propria base di simpatizzanti o lanciarsi in un’appassionata campagna per convincere gli indecisi? Finora nessuna delle due strade è stata percorsa in modo netto. Se è infatti vero che laburisti della vecchia guardia come Tony Blair, Gordon Brown e Alan Johnson si sono lanciati a capofitto a fare campagna favore della UE, Corbyn finora è rimasto tiepido e ambiguo. Sostiene diligentemente la causa ma non mostra alcuna passione. Su questo atteggiamento passivo ha certamente pesato un riflesso tattico, ossia la necessità di non mettersi frontalmente contro una crescente minoranza anti-europea degli elettori. Ma a molti è difficile togliere dalla testa il sospetto che, da vecchio socialista puro e duro che per anni ha osteggiato la UE come un parto neo-liberista contro gli interessi del popolo, il leader laburista resti in fondo poco entusiasta davanti al progetto europeo.
L’elettorato laburista per parte sua sta sempre più credendo all’argomento pro Brexit secondo cui la UE è un progetto elitista di un establishment lontano dalla gente. Un progetto non a caso difeso da laburisti di destra come Blair e Brown e dalla vecchia guardia moderata dei Tory. Politici che non avrebbero a cuore gli interessi della gente comune e che tengono aperte le porte all’immigrazione per pura convenienza economica con effetti darwiniani sulla popolazione. Poco importa se è provato dalle statistiche che gli immigrati contribuiscono allo Stato molto più di quanto ottengono in benefici e finanziano massicciamente la sicurezza sociale e la sanità pubblica. Poco importa se gli europei fanno lavori che molti inglesi non sono capaci di fare per mancanza di qualificazioni. Poco importa infine che a guidare la campagna anti UE siano tre etilisti come Nick Farage, Michael Gove e Boris Johnson che hanno studiato nelle scuole più esclusive e sono assai benestanti.
L’assassinio di ieri della deputata laburista Jo Cox, spariglia molte di queste categorie politiche. Anni di militanza passati in Onlus legate alla difesa dei diritti civili e dello sviluppo, la neo eletta entrata in politica alle elezioni dello scorso anno era il tipico esempio di sinistra classica internazionalista e terzomondista. Una sinistra compassionevole e solidale al di là di ogni frontiera. Non a caso una sostenitrice convinta della permanenza nella UE. In queste ore, tutti nel Paese, da destra a sinistra, passando per il centro, la piangono e ne esaltano l’energico altruismo. Ma Jo Cox pare essere la vittima sacrificale di un clima di intolleranza crescente. Non è un caso che, da quanto risulta, sia stata assassinata da un povero cristo di umile estrazione, mentalmente disturbato e di simpatie di destra che al grido di “Britain First!” vedeva forse in lei il politico privilegiato che segue ideali contrari agli interessi concreti della povera gente. Poco importa che la deputata fosse a propria volta di umili origini e si fosse guadagnata duramente i galloni prima studiando a Cambridge e poi razzolando tra la gente più svantaggiata del pianeta per poi approdare a Westminster piena di energie e buone intenzioni. L’elettorato laburista ha un crescente mal di pancia e si guarda l’ombelico perché non ha più la voglia né la capacità di pensare ai guai del resto del mondo. Tanto meno ha voglia di capire i meccanismi e i benefici di una complessa organizzazione internazionale come la UE di cui la Gran Bretagna fa parte da 40 anni. Quattro decenni che non paiono essere serviti a comprenderla o peggio a capirla.