I novant’anni della regina, il 400esimo anniversario della morte di William Shakespeare, la visita di Obama, la morte di Prince, la maratona di Londra hanno chiuso la settimana con un can can mediatico che non si sperimentava da mesi. Provo a trovare un filo conduttore per cercare una chiave di sopravvivenza mentale a tanto bombardamento emotivo.
La Regina fa Novanta. La donna-automa, l’incarnazione dell’istituzione monarchica asettica che tanto amano gli inglesi, continua a tirare dritto. La sua pervicacia si è esemplificata in immagini col brusco rifiuto al gesto di cortesia di Obama di aiutarla a scendere dalla Range Rover regale, guidata peraltro dal 95enne principe consorte Filippo. Con una smorfia di sorpresa, Elisabetta ha fatto cenno al presidente Usa di stare alla larga ed è rotolata fuori dal macchinone con un balzo agile. Sempre più rimpicciolita, mi ha ricordato un rocciatore che scende in corda doppia dalla parete. Nel Paese più transazionale del pianeta, dove la gente cambia lavoro come i calzini, dove manager e finanzieri cavalcano una volatilità rampante come cow-boy in un rodeo, aggrappati disperatamente in sella, nel paradiso delle public company, del crescente anonimato, della deresponsabilizzazione individuale a profitto di procedure e algoritmi, Elisabetta rappresenta l’apice di una delle più antiche e tradizionali imprese familiari d’Europa. Né pare avere intenzione di mollare il bastone del comando agli eredi. Carlo, ultrasessantenne, resta in eterna attesa e il nipote William, secondo in linea di successione, accusato di prendersela comoda, in una recente intervista ha candidamente ammesso che, fintanto che la nonna e il padre lavoreranno così intensamente, per lui non si aprono grandi prospettive di lavoro.
Come Elisabetta I ha tenuto a battesimo il teatro Shakespeariano, a Elisabetta II tocca, quattrocento anni dopo, benedire l’anniversario della morte del grande bardo. Non si contano gli eventi commemorativi, a Londra e in altre città inglesi. Una vera tentazione per i turisti in questa tarda e fredda primavera in vista di un’estate ricca di appuntamenti. Che poi oggi, 24 aprile, sia il 400esimo della morte di un altro titano della letteratura mondiale, Miguel de Cervantes, che ha avuto altrettanti lettori del grande bardo, agli inglesi non poteva interessare di meno.
I due anniversari regal-letterari, da tempo attesi, hanno fatto da sfondo all’esplosione di polemiche che ha creato la visita di Obama. Dichiarazioni contro l’eventualità di un Brexit erano attese, ma non con tanta brutale franchezza. Obama ha detto in sintesi che la Gran Bretagna conta ben poco da sola, e che è interesse degli Usa che resti ben ancorata alla UE perché è il migliore modo di influenzare l’Europa e trasmettere i valori anglosassoni del libero mercato. Parole accolte con un’ondata d’indignazione tra i fautori del Brexit, che hanno sbertucciato il presidente Usa, specie quando ha detto che, se lasceranno la UE, gli inglesi dovranno rimettersi in fondo alla coda per rinegoziare i trattati commerciali con l’America, mettendoci tra 5 e 10 anni. Secondo costoro, che ne sanno evidentemente più di Obama, il presidente avrebbe mentito per dare una mano all’amico Cameron. Obama peraltro ha detto quello che gli americani dicono da anni e che ieri la stessa candidata alla presidenza, Hillary Clinton, ha ripetuto, ma evidentemente non c’e’ peggior sordo di chi non vuol sentire.
La morte di Prince, il cantante americano che ha fatto sognare milioni di fan, si è peraltro stesa come una lugubre cappa tra le due sponde dell’Atlantico e ha ricevuto una copertura forse superiore al compleanno della regina. Segno che un principe del rock conta ormai presso l’opinione pubblica più della sovrana di un Paese che si sta rimpicciolendo nei fatti e nella mente.
Fortuna che, in una gelida domenica di fine aprile, la maratona di Londra, forte di 40mila partecipanti, in un’atmosfera di festa con tratti carnevaleschi, ha stemperato e diluito l’uragano di polemiche della vigilia. Tutti a correre per 42 chilometri con costumi variopinti. Correre per dimenticare i problemi che stanno lacerando la Gran Bretagna. Giovedi 3 maggio si voterà peraltro per il nuovo sindaco di Londra. Tutti i candidati sono a parole per una città più verde, multietnica, multiculturale e attenta al sociale, con programmi ambiziosi di costruzioni di alloggi per i giovani. E ciò mentre il sindaco uscente Boris Johnson, membro della cupola dei fautori del Brexit, ogni giorno che passa assume toni sempre più nazionalisti e meschini in difesa della sua causa neo-isolazionista, fino a dare a Obama del Kenyano, pieno di risentimenti coloniali verso gli inglesi. Già, forse Obama preferisce una Gran Bretagna piegata e schiava della UE piuttosto che un Paese che torni a brillare al centro di scambi mondiali e imperiali…