Il progetto, ambiziosissimo, era noto come Boris Island. Un progetto faraonico anche nei costi, di oltre 100 miliardi di sterline, pari a circa 130 miliardi di euro. Non poteva d’altronde essere altrimenti, dato che si trattava di spostare in blocco l’enorme e congestionato aeroporto di Heathrow da Ovest a Est di Londra sulla foce del Tamigi, sull’isolotto di Grain. Una gigantesca opera acquatica che avrebbe ricordato un po’ quella di Hong Kong. La proposta, frutto della visione del sindaco di Londra, Boris Johnson è stata bocciata ieri ufficialmente da una Commissione creata ad hoc presieduta da Howard Davies, un Don della City di grande esperienza, con un curriculum che va dalla direzione della CBI, la confindustria britannica, passando per vicegovernatore della Banca d’Inghilterra e presidente della ora defunta FSA, l’organo di regolamentazione dei mercati finanziari.
Quando la posta in gioco è alta sia in termini politici, sia di soldi, sia di carica emotiva, gli inglesi creano un’apposita commissione di studio, cercando di stemperare gli animi e introdurre razionalità in decisioni che sono destinate ad avere conseguenze importanti. Non poteva non essere il caso del futuro dell’aeroporto di Londra dato che la posta in gioco era altissima e dato che a spingere per il gigantesco piano era il sindaco di Londra in persona, l’uomo che potrebbe prendere il posto di Cameron alla guida del partito conservatore. Il Governo peraltro ha sempre visto con freddezza la proposta di Johnson. Questi ha cavalcato il progetto con passione e altissimo profilo, sostenendo che un’ampliamento di Heathrow da due a tre piste di atterraggio e in prospettiva quattro si rivelerà una scelta insostenibile sia per gli abitanti dei dintorni dell’aeroporto sia per la stessa capitale, sopra la quale passano le rotte degli aerei in atterraggio che in fila indiana sciamano regolarmente sopra il West End. L’idea era dunque quella di creare dal nulla un nuovo aeroporto con quattro piste a una ventina di km a Est di Londra.
Davies, che ha fama di uomo pragmatico e saggio, ha detto che le sfide per spostare di 100 km più a Ovest l’aeroporto sono enormi sul piano logistico e c’è di conseguenza il serio rischio che, malgrado immani sforzi, questo non veda mai la luce. Johnson ha reagito ieri alla decisione della commissione dicendo che si tratta di una scelta miope. Secondo il sindaco l’alternativa diverrebbe inevitabilmente una terza pista a Heathrow che si dimostrerebbe inostenibile, con il ritmo di un decollo-atterraggio ogni 25 secondi. Con il fare guascone che lo contraddistingue, il biondo sindaco ha detto di ritenere la scelta una battuta d’arresto temporanea, ricordando che anche il Tunnel sotto la Manica era già stato progettato e accantonato una volta due secoli fa (da Napoleone, un altro che pensava in grande ndr) prima di essere ripreso e realizzato vent’anni fa. Le alternative all’isola di Boris sono infatti 3, per un costo di circa 20 miliardi di sterline ognuna: la creazione di una terza pista a Heathrow, a Nord dell’aeroporto, il prolungamento di una delle due piste a Heathrow o la creazione di una seconda pista a Gatwick.
Secondo aeroporto al mondo per traffico dietro a Dubai, con 75 milioni di passeggeri e 470mila voli all’anno (1.300 al giorno), l’aeroporto di Heathrow e’ sempre più congestionato e inquinante, sia acusticamente sia ambientalmente, secondo i detrattori. E il tentativo di ingrandirlo è difficile da fare passare politicamente. Per questo l’idea di Johnson, per quanto megalomane come il personaggio, ha raccolto simpatie tra la gente. I critici hanno rimarcato che si tratta di un abile espediente politico del sindaco che lancia una visione sapendo che comunque sarà vecchio quando mai l’opera verrà conclusa. Ma per quanto apparentemente un poco vaneggiante, davanti al rischio di un disastro ambientale a Heathrow negli anni futuri, l’idea dell’isola di Boris potrebbe un giorno dimostrarsi non poi così peregrina..