Londra città più influente del mondo, ma il prezzo è alto

Le graduatorie sono la passione degli anglosassoni e, tra le altre, da alcuni anni impreversano quelle relative alle grandi città del mondo. Il motivo è semplice: in un pianeta globalizzato, le grandi città  hanno un peso sempre maggiore, dato che determinano trends di fondo in campi come finanza, tecnologia, arte, mobilità e tempo libero. Da una decina di anni Londra è in cima a queste graduatorie. La capitale britannica è infatti l’unica città realmente globale: per quanto lo siano anche Parigi e New York, la prima resta profondamente ancorata alla tradizione francese mentre la consorella oltre-Atlantico resta sul fondo  una città americana.

L’ultma delle graduatorie lusinghiere per la capitale britannica viene peraltro porprio da una pubblicazione americana, Forbes, che le concede l’onore delle armi dandole il primo posto al mondo come città più influente del pianeta del 2014, relegando New York al secondo posto. Secondo Forbes ciò che rende Londra unica è infatti un’apertura al mondo senza precedenti, che fa della metropoli la vera “capitale di lingua inglese del mondo”. I criteri seguiti sono l’eccellenza in campi come la tecnologia, i media, i collegamenti con il resto del mondo, la quantità di aziende che hanno stabilito il proprio quartiere generale, oltre alla capacità di fare convivere diverse etnie e religioni.  Gran parte di queste qualità erano state riconosciute da uno studio di PWC in maggio, che aveva votato Londra prima tra le 30 città più influenti del mondo grazie a vantaggi come il collegamento aereo con l’89% delle grandi citta globali e una massa di investimenti esteri doppia rispetto alla grande città americana. Oltre a un numero crescente di società estere che stabiliscono la propria sede nella capitale. La quale ha ormai anche il primato nell’alta tecnologia, dato che può contare oltre 3mila start ups nel settore.

Forbes mette Parigi al terzo posto, seguita da Singapore. Tra le prime dieci figurano anche Pechino e Tokyo. Lo studio mette peraltro l’accento piú sulla vivibilità e dinamismo intellettuale delle città rispetto alla crescita quantitativa che molte graduatorie avevano finora privilegiato.

Che tutti vogliano avere un posto al sole a Londra è un fatto da tempo acclarato e spiega come nella capitale gli stranieri detengano un patrimonio immobiliare valutato in 122 miliardi di sterline (155 miliardi di euro).  Negli ultimi 12 mesi la città ha registrato un boom del 20% dei prezzi delle case. Una corsa che, a partire dall’inizio dell’estate, ha dato però segnali di raffreddamento.

Potrà infatti Londra sostenere in contnuazione questa esposizione al successo e un ritmo di crescita che dovrebbe portarla sul filo dei 10 milioni di abitanti nel 2025? Secondo i “gufi” ci sono ormai una serie di elementi di debolezza strutturale che potrebbero diventare un problema per gli anni a venire. Uno studio recentissimo del EIU, l’Economist Intelligent Unit, rileva come uno dei problemi principali potrebbe derivare dal crescente malcontento sociale che la polarizzazione della ricchezza sta creando. Una situazione che ha avuto come peggiore manifestazione  i moti del 2011. Ma anche, a diverse riprese, le sommosse anarchiche contro il capitalismo che hanno provocato forti danni materiali nella City, le grandi manifestazioni pacifiste culminate di recente tra le polemiche con quella su Gaza, oltre al risentimento di varie comunità che rispecchiano guerre e disordini sociali in casa loro. Il rapporto non cita i rischi di terrorismo, iniziati alla grande con le bombe del 7 luglio 2005  e ora sempre latenti a causa dl rimpatrio dei cosiddetti “foreign fighters” ma viene ovvio pensare che anche questo possa essere un fattore di destabilizzazione. Secondo l’EIU, peraltro i moti selvaggi del 2011 sono stati  un evento da non prendere sottogamba che indicano il malcontento che cova sotto la cenere e potrebbe essere sintomo del peggio che si prepara per gli anni a venire. Per tale motivo il think-tank del gruppo Economist ha addirittura messo Londra tra le grandi città meno vivibili, superata in peggio solo da Atene e Lisbona e in meglio perfino da Rejkiavik e Detroit. A me pare sinceramente eccessivo ma è segno che, se è vero che queste graduatorie, oscillando da un estremo all’altro, trovano il tempo che trovano, hanno anche il vantaggio di rilevare varie angolature e permettere alla fine una visione complessa, necessaria per comprendere le varie tematiche legate alle grandi città del mondo.