Scozia, quanto fumo e quanto arrosto?

Il rischio di una secessione della Scozia al referendum del 18 settembre è allo stesso tempo una questione molto più seria e molto meno preoccupante di quanto appaia. Ormai, della questione, i lettori de Il Sole 24 Ore hanno letto quasi tutto. Io credo che, alla fine, il fronte del no vincerà di misura grazie all’efficacia di una massiccia campagna dei media (in massima parte unionisti) basata sulla paura dell’ignoto. Se così fosse, il chiasso di questi giorni verrà ridimensionato in tempi brevi. Potrei però sbagliarmi, nel caso gli scozzesi decidano di reagire con un colpo d’ala tanto liberatorio quanto avventurista. Un fatto è però certo: comunque andranno le cose, niente sarà più come prima. Il fronte del sì infatti ha ormai provato la propria forza, e anche se perdesse, otterrà  ulteriori concessioni autonomistiche e irriterà sempre più i cugini inglesi  del Sud che devono accontentarsi di un Parlamento nazionale soltanto, mentre gli scozzesi possono giocarsi sia a livello locale che nazionale. Con nessuna garanzia che, tra pochi anni, gli indipendentisti non tentino un nuovo referendum. Oltre la beffa, il danno. E, comunque vada, una questione così importante come la secessione della Scozia non verrà decisa su basi razionali, ma emotive, malgrado tonnellate di ipotesi da mesi soppesate e misurate da tutte le angolazioni. La verità, infatti, è che nessuno realmente sa se la Scozia a lungo termine potrà prosperare meglio da sola che assieme al resto del Paese. Curiosamente, il dibattito di questi giorni mi ricorda quello che infuriava a Londra sull’adesione all’euro una quindicina di anni fa a parti rovesciate. Allora gli inglesi si esibivano nelle ipotesi economiche più ardite per provare che l’euro era destinato al fallimento e gli europei erano dei velleitari, ignoranti delle leggi basilari dell’economia. Oggi, che tutto sommato l’euro tiene botta, l’ironia della sorte vuole che uno degli stati nazione più antichi d’Europa e con un’economia omogenea si disgreghi, con la conseguenza che la sterlina vada in frantumi. L’euro non andava bene per un gruppo di economie europee disomogenee mentre ora la sterlina, secondo i detrattori, non andrebbe stranamente più  bene per due economie da secoli omogenee…

Ma andiamo con ordine. Partiamo dalle ipotesi razionali, che sono peraltro le più fantasiose, dato che, per quanto in modo teoricamente impeccabile, ognuno dice la sua su basi tutte da provare. Paradossalmente i più rilassati sono i secessionisti: vogliono mantenere la corona, vogliono mantenere la sterlina, vogliono restare nella UE, vogliono frontiere invisibili con l’Inghilterra come lo sono tra i Paesi Schengen  e va loro benissimo di far parte di una struttura quasi-federale. Certo, vogliono tenersi i proventi petroliferi, ma questi sono in declino. Gli Unionisti da parte loro sono quelli che più si agitano “per il bene” della Scozia. Secondo costoro, da solo, il piccolo nuovo Paese  che emergerà da una vittoria del sì, finirà in rovina, gravato da una calante demografia, da crescenti costi del welfare, da prezzi in aumento dato che il mercato è piccolo e i grandi gruppi che sussidiano i prezzi scozzesi con i ricavi inglesi saranno costretti a ritoccare i listini. Le banche, incerte della capacità del sistema finanziario scozzese di essere solvente, sposteranno tutte il loro quartier generale a Londra come alcune hanno già preannunciato.  Nuovi ministeri graveranno sui conti pubblici che diverranno insostenibili. Sarà veramente una catastrofe? O alla fine, per quanto divisi, costretti a coabitare sulla stessa isola i due Pesi troveranno un modus vivendi non tanto diverso da quello attuale?

Se la Scozia votasse per l’indipendenza partirebbe peraltro un lungo processo di aggiustamento e negoziati per dividere il debito nazionale, rivedere le acque territoriali, la pesca, il petrolio, i trattati con la UE che alla fine davanti a un tale garbuglio, sarà forte la tentazione di trovare un accomodamento e semplificare, dato il pragmatismo di entrambe le parti.

La domanda che più preme in questo momento è una: come mai gli scozzesi, che da sempre hanno un sistema giuridico e educativo diverso dal resto del Paese, che hanno ottenuto ampia autonomia sotto Blair con la devolution, con libertà rilevanti in materia fiscale, sono stati presi da questa frenesia di fuga dal resto dell’Unione? La risposta a mio avviso, sta in gran parte nel fatto che, dopo la Thatcher, l’Inghilterra ha sempre più adottato il modello liberista americano, mentre gli scozzesi hanno guardato a quello socialdemocratico europeo. Col tempo hanno elaborato un’insofferenza insanabile nei confronti dei conservatori. Alimentata dal fatto che, sotto la Thatcher, la Scozia ha visto smantellare tutta la propria industria navale e aumentare la disoccupazione alle stelle. Oggi solo un deputato conservatore scozzese siede a Westminster. Gli indipendentisti scozzesi sono peraltro convinti di potere seguire il modello norvegese, creando un fondo sovrano che si alimenti dei proventi del petrolio e possa fare da salvadanaio per la nazione, senza annegarla nei debiti finanziari creati dai cugini del sud, visti come degli scommettitori sconsiderati. A ciò si aggiunga l’ulteriore astio creato dai nuovi tagli al welfare voluti da Cameron e Osborne. E il loro continuo minimizzare il caso scozzese, tranne poi essere colti dal panico negli ultimi giorni, quando è emersa chiara la possibilità della secessione.

Infine, e non è cosa da poco, conta il fattore umano. Nel nostro caso parliamo di Alex Salmond, primo ministro scozzese in carica e leader del fronte indipendentista. Ho avuto la fortuna di seguirlo per due giorni 7 anni fa alle elezioni locali del 2007 che vinse con grande facilità, minacciando per la prima volta seriamente l’egemonia laburista. Salmond è un’acqua cheta. E’ competente, ha un passato da economista e banchiere alla Royal Bank of Scotland, dove peraltro era esperto di temi energetici e petroliferi. Non perde mai la calma e ostenta sempre un sorriso serafico e fiducioso, tutto il contrario dei secessionisti arrabbiati di altri Paesi come era Umberto Bossi o i capipopolo alla Marine Le Pen, passando per Beppe Grillo, laddove la contestazione diventa radicale. Salmond è accomodante. Non vuole dichiarare guerra agli inglesi. Non ha mai usato argomenti velenosi. Dice solo agli scozzesi di avere fiducia in se stessi e tirare avanti nella ricerca dell’indipendenza dato che potranno solo stare meglio.

A ben pensare, il danno maggiore che una vittoria del sì potrebbe causare è proprio agli inglesi. Questi perderebbero un terzo del territorio, 8% della popolazione, gran parte delle risorse petrolifere, dovrebbero ripensare il nome e l’identità del Regno Unito, rischierebbero in prospettiva una secessione del Nord Irlanda, si troverebbero con un peso fortemente ridotto a Bruxelles, perderebbero potere economico, trovandosi nuovamente dietro all’Italia e poco sopra la Spagna in termini di Pil. I laburisti, con una rappresentanza ridotta, dato che perderebbero i deputati scozzesi a Westminster rischiano di non essere più’ eletti. L’Inghilterra e Galles residui in mano ai conservatori e agli oltranzisti dell’UKIP virerebbero ulteriormente a destra, diventando preda di una deriva eurofoba che porterebbe all’uscita dalla UE. E ciò con spiacevoli assestamenti interni, dato che l”UKIP ha dichiarato che gli scozzesi dovranno lasciare la sterlina e abbracciare l’euro. Il Paese, profondamente colpito sul piano politico e sociale, entrerebbe in una forte crisi di identità. Un problema di perdita di faccia molto più che di sostanza, dato che economicamente non dovrebbero esserci conseguenze così gravi tra la somma delle due parti. Ma, sul piano della proiezione mondiale, avverrebbe un tracollo di prestigio, con una rimessa in discussione del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e della forza militare della maggiore potenza militare europea. Per concludere, non sono certo che una secessione della Scozia porti a gravi danni economici a inglesi e scozzesi come somma delle parti rispetto a un’unica unita’: su questo fronte si fa troppo fracasso, chiaramente per spaventare i cugini del Nord. Sul piano politico però, per gli inglesi sarebbe una batosta insanabile, con una crisi di identità nazionale  profonda.

 

  • Smithk360 |

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