Quando un ministro dell’Industria della Portata di Peter Mandelson, figliol prodigo tornato alla corte di Gordon Brown, e Lord Turner, presidente della Fsa, organo di vigilanza dei mercati, lanciano simultaneamente l’allarme, vuol dire che la situazione è grama. Entrambi hanno detto che Londra soffrirà particolarmente da questa crisi e dovrà reinventarsi, perchè la finanza non sarà mai più quella di prima. La capitale dovrà ridurre la dipendenza dalle banche e "diversificarsi". Nel frattempo la attendono anni duri.
Secondo Mandelson la City sarà inevitabilmente più piccola e l’industria finanziaria contribuirà decisamente in misura minore al pil del Paese. Turner ha messo in chiaro che la City si restringerà e che la capitale dovrà contare d’ora in poi di più su settori come la moda, il turismo e altre industrie creative. E’ un fatto che Londra sta già soffrendo fortemente. A differenza della recessione del 1990-92 questa crisi ha l’epicentro nella capitale e nel ricco Sud-Est che era diventato il ridente giardino dei pendolari sull’asse tra Londra, Amsterdam e Parigi. Ora la crisi della City, con la prospettiva della perdita di 50mila posti di lavoro, pari a quasi il 15% del totale dei 350mila addetti, sta succhiando in un buco nero la parte più vitale dell’economia del Paese. City vuole dire bonus e questi venivano spesi in case, auto di lusso, opere d’arte, ristoranti, moda e ogni forma d’intrattenimento d’alta gamma. I prezzi delle case, secondo alcuni, sono destinati a cadere in Gran Bretagna fino al 35% rispetto al picco dell’estate 2007 prima di ripartire faticosamente attorno al 2011. I valori, iniziano già a cedere vistosamente nel centro della capitale. A differenza della recessione del 1990-92 che era più generalizzata in Gran Bretagna, questa rischia di colpire particolamente gli stranieri altamente professionali che hanno fatto la forza di Londra negli ultimi 20 anni. Il fatto che in centro, secondo l’agenzia immobiliare Savills , quartieri di lusso come Mayfair, Belgravia, Chelsea abbiano perso tra il 7% e l’8% e che in alcune zone di Kensington i cedimenti sono del 16% con percentuali ancor maggiori in zone semicentrali come Barnes, Fulham e Wandsowrth che si erano rivalutate fortemente in questi anni, illustra quantro questa crisi sia particolarmente nociva. Ma le vie d’uscita individuate da Mandelson che cerca ora di salvaguardare gli investimenti nella qualificazione professionale dell’industria o di Turner, che auspica una diversificazione, rischiano di avere poco effetto. Nel primo caso sarà assai difficile invertire un trend di deindustrializzazione durato 30 anni. Nel secondo, da uno studio sull’industria della conoscenza del centro studi economico del comune di Londra (Gla) ampiamente ripreso nel mio libro, viene provato che c’è una stretta correlazione tra lo stato di salute della City e quello dell’economia della conoscenza come media, pubblicità, consulenza, studi legali e mercato dell’arte. Se una si restringe si restringono le altre. Londra dovrà questa volta spremersi assai le meningi per reinventarsi…