Quando l'86enne presidente delle Assicurazioni Generali, Antoine Bernheim, si è trovato a dover cedere il passo al "giovane" Cesare Geronzi, ha messo in chiaro di non volere andare in pensione perché ancora pieno di energia ed esperienza. E ha citato il caso di Enrico Cuccia, che ha guidato Mediobanca fino al decesso, alla veneranda età di 93 anni. Quello di Bernheim, che è peraltro un signore di origine francese, è solo un esempio, che rende però bene il clima imprenditoriale dell'Italia. Badate, alla guida di grandi aziende quotate oggi ci sono molti più "giovani" di una volta. Inoltre, non c'è nulla di male se un uomo anziano, esperto e in buona salute resta al timone. Il fatto è che questo andazzo, che trae le proprie radici nelle aziende di proprietà famigliare, in Italia è diffusissimo, deresponsabilizza i giovani e crea una forte distorsione generazionale. Quando è il momento buono per prendersi delle responsabilità? E quando per staccare? Nel primo caso si può certamente iniziare presto: Alessandro Magno morì alla tenera età di 33 anni dopo avere creato il più grande impero della storia. Gengis Khan era già in pista da teenager. Senza andare così lontani nel tempo, oggi nel mondo anglosassone, Bill Gates di Microsoft o Larry Page di Google hanno creato imperi appena trentenni. Negli Usa o in Gran Bretagna, finita l'Università, ognuno esce di casa e si deve arrangiare. Il sistema è peraltro costruito per muoversi in questa direzione. Passati i 55/60 anni gli anglosassoni inoltre staccano, non per andare a rimbecillirsi ai giardinetti, ma per iniziare una seconda vita.
La nuova vita puo' essere fatta di hobby, viaggi, consulenze, nuovi lavori in settori radicalmente diversi e volontariato nel campo sociale. A livello di top manager, spessissimo gli ex Ceo di grandi aziende vanno a presiedere enti caritatevoli, associazioni no profit, enti culturali, associazioni scientifiche, Università o musei. Il tanto temuto mondo anglosassone, brutale per il capitalismo sfrenato e un efficientismo amorale, mostra un lato saggio. Chi invecchia perde infatti energia e guadagna in esperienza. Oltre a portare con sé un gran numero di relazioni sociali. Ecco dunque il candidato ideale che può mettere a servizio di un'organizzazione anni di vita vissuta. Per l'ex manager o imprenditore inizia una nuova storia, piena di stimoli e nuove esperienze. In Italia su questo fronte siamo ancora lontani. Ognuno cerca di restare attaccato alla poltrona o inchiodato al proprio cerchio di riferimento fino a che è in grado di respirare. Perdere la guida di un'azienda o un'organizzazione diventa un marchio d'infamia. C'è un altro fattore da considerare: in Italia raramente il capo azienda ha altri interessi fuori dal lavoro. Ciò si spiega d'un lato con il fatto che, per chi ha fondato un'azienda e l'ha fatta crescere, il lavoro è tutto. Il che non deve essere considerato un male. Nel mondo anglosassone c'e' peraltro il difetto contrario, ossia quello di considerare tutto intercambiabile, il che porta a scarsa lealtà e poca passione aziendale. In Italia però la fossilizzazione su un unico stile di vita, dall'infanzia alla vecchiaia, crea negli anni un tappo sulla testa dei giovani, che difficilmente sono messi in grado di entrare in pista in tempo utile, quando cioè sono ancora pieni di idee e di energie, preparandosi per tempo a dirigere. Basti guardare alla politica britannica, dove il nuovo Governo di coalizione conservatori-liberaldemocratici e' guidato da due 43enni (David Cameron e Nick Clegg) che sono all'opera nelle alte sfere della politica da meno di una decina d'anni. Dare opportunità ai giovani in un'Europa che decade è la formula della sopravvivenza. E in questo gli anglosassoni paiono più attrezzati per formare le nuove generazioni oltre a dare più opportunità alle vecchie. Non è un caso che un numero sempre maggiore di giovani vada a studiare in Gran Bretagna o America perché, finiti gli studi, possono trovare più facilmente lavoro. Ma il gioco non può essere infinito: Usa e GB iniziano a chiudere le porte agli immigrati a causa della crisi economica. E noi italiani non possiamo continuare a risolvere il problema dei giovani esportandoli all'estero perché a casa loro i genitori non sono disposti a farsi da parte.