Il mito del posto fisso, proprio in Italia, Paese in cui è idolatrato, è definitivamente infranto. Anche il Papa, con la sorprendente decisione di dimettersi, pare aver fatto le spese dell'era della frenesia. L'era in cui si vive all'insegna dell'effimero e del volatile, del precariato e dove ad alto livello, specialmente nelle public companies, si ricoprono posizioni di vertice stando in sella con la stessa incertezza di chi partecipa a un rodeo, è stata fatale al Santo Padre. Almeno così sembra ai detrattori, che lo accusano di essersi comportato più da manager che da sant'uomo. Il Pontefice ha motivato la propria decisione dicendo che stava diventando troppo fragile per i compiti che era chiamato ad adempiere. A quasi 86 anni, a pensarci bene, non ha tutti i torti, immaginando i viaggi che lo aspettavano ai quattro angoli del mondo, i discorsi, le visite, le celebrazioni e i continui inginocchiamenti, che a una certa età diventano sempre più problematici.
Con una decisione temeraria, Benedetto XVI ha dunque deciso di gettare l'abito papale alle ortiche e scegliere il prepensionamento e una quarta età contemplativa. Molti, come il sottoscritto, lo hanno ammirato. Per prendere una decisione del genere, praticamente senza precedenti, ci vuole coraggio da vendere. Tanti però non hanno condiviso la scelta, dicendo che un Papa deve restare al proprio posto di combattimento fino alla fine, costi quel che costi. L'esempio del predecessore Giovanni Paolo II parla da sè. Ancora è davanti ai nostri occhi l'immagine del Papa polacco sempre più contorto e sofferente che porta la croce del proprio impegno fino alla fine. Un papa eroico nel gesto, anche se nella sostanza, date le condizioni in cui si trovava, aveva inevitabilmente delegato la gestione del pontificato alla Curia, guidata ai tempi proprio da Ratzinger. Forse, memore di questo, il Papa tedesco, da buon teutonico, ha anteposto la qualità del lavoro che era chiamato a svolgere al dovere di farlo a qualsiasi condizione. Lo aveva peraltro preannunciato in un'intervista, dicendo che quando uno < non è più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l'incarico > deve andarsene.
Nessun Papa aveva preso una decisione del genere. Ossia soltanto sette nella storia di 265 papi. L'ultimo era stato Gregorio XII nel 1415, paraltro cotretto dal Concilio di Costanza. Il piu' illustre immortalato da Dante fu Celestino V, che dopo 5 mesi di pontificato passò la mano 718 anni fa per tornare a fare l'eremita. Anch'egli sarebbe in effetti stato costretto a dimettersi dal successore Bonifacio VIII. Una versione che Dante non fa peraltro propria, dando a Celestino del pusillanime e mettendolo tra gli ignavi, all'anticamera dell'Inferno, tra quelli che nella vita non hanno saputo decidere. Il sommo poeta lo bollò come < colui che fece di viltade il gran rifiuto >. Insomma non era un Alpha male, come dicono nella City, un combattente. Eppure io trovo nelle dimissioni di Benedetto XVI che non sono inquinate dal sospetto di spinte o manovre di palazzo come nel Medioevo, un grande coraggio. Oltre a una gran coerenza, che si era dimenticata nella notte dei tempi: secondo il monaco Enzo Bianchi Papa Ratzinger avrebbe infatti ricalcato un precedente ancora più illustre,che tutti parevano avere dimenticato: quello di Pietro, padre della Chiesa, che in tarda età < decise di andare in altro luogo > staccando la spina alla predicazione e al proselitismo per pensare probabilmente all'anima sua.
Le dimissioni del Papa sono state colte con interesse in Gran Bretagna, dove alcuni hanno fatto notare che la Regina Elisabetta, che compirà 87 anni il 21 aprile, esattamente uno più del Papa (che li compie il 16) è ancora arzilla e in piena forma, al punto da essersi esibita lo scorso anno, in un simbolico pseudo-lancio con paracadute assieme a James Bond all'inaugurazione dei Giochi Olimpici. Il rovescio della medaglia di tanto dinamismo è che, non mollando lo scettro, Sua Maestà umilia il figlio Carlo, che si trova a quasi 64 anni nella veste di "ragazzo vecchio" in eterna attesa di ereditare il trono. Nel Paese delle public companies, della rotazione frenetica di posti di lavoro e delle cariche manageriali, la Regina si comporta come un padre padrone retrivo di una delle tante aziende famigliari italiane, dove il titolare non molla mai il mazzo e crea problemi di successione che portano alla rovina dell'azienda. D'altra parte in Italia, dove è stato eretto un altare al posto fisso e appunto abbondano i padroncini egotici che non badano alla successione, nientemeno che il Papa in persona decide di dimettersi. Vista in modo manageriale e operativo e messo da parte l'aspetto ultraterreno della nomina ispirata dalla volontà divina, sul piano umano lo trovo un esempio edificante per molti italiani, comprese tante facce arcinote e più o meno potenti che si dimenano in questi giorni in campagna elettorale.