Il lavoro nobilita. Il lavoro serve a campare. Il lavoro arricchisce. Sono espressioni note. Ciò che non sapevo è che il lavoro potesse impoverire. E' quanto accade in un Paese come il Regno Unito, dove i salari più bassi sono decrescenti in termini reali, al punto che chi si trova a vivere nel welfare a spese dello Stato sta meglio di chi lavora nelle fasce basse. Messo in questi termini il fatto è noto. Ma ciò che non mi era noto e che ha scoperto la fondazione Rowntree, che si occupa di temi di di lavoro e povertà, sono le proporzioni. All'interno dei 13 milioni di poveri britannici, ossia coloro che vivono col 60% o meno dei redditi medi (368 sterline la settimana), quelli che lavorano, ossia 6,7 milioni, hanno redditi inferiori rispetto ai 6,3 milioni che vivono di welfare, tra pensioni e sussidi di disoccupazione. La prima categoria ha sorpassato la seconda. Potremmo chiamarli gli irrimedibilmente poveri, quelli cioè che annaspano qualsiasi cosa succeda. Nella guerra tra poveri devo però dire si sta creando una grossa ingiustizia. Infatti, da quando la crisi è scoppiata nel 2008, i redditi della fascia più bassa della popolazione che lavora hanno perso l'8% di potere d'acquisto in termini reali. Mentre il welfare, per quanto abbia subito tagli, è riuscito a onorare il proprio ruolo salvaguardando i pensionati e le fasce più deboli. E' un fatto però che gli stranieri che piovono nel Regno Unito lottando tra loro a salari decrescenti, hanno depresso i redditi della fascia bassa dei lavoratori, permettendo paradossalmente a cittadini britannici e ai pochi cittadini della UE residenti in Gran Bretagna che vivono di welfare, di stare meglio di chi lavora. Una parte dei poveri lavoratori immigrati mantiene insomma una buona parte di britannici disoccupati.
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