Quell’elefante europeo nella stanza della Brexit

Domanda: quale è la più grande comunità nazionale del Regno Unito al di fuori dell’Inghilterra? La Scozia? Risposta errata. Dalla fine di maggio, infatti, gli abitanti di nazionalità europea, con passaporto UE o EEA, hanno raggiunto i 5,6 milioni di unità, superando i 5,45 milioni di scozzesi e, tanto più, i 3,2 milioni di gallesi e 1,9 milioni di nordirlandesi. Si tratta dell’8% della popolazione complessiva, (anzi del 10%, secondo i dati al 30 giugno aggiornati dal Governo a 6,02 milioni, ndr). La sorpresa di questa quarta nazione virtuale composta da 27 Paesi è giunta mentre ricorre il quinto anniversario dello storico referendum sulla Brexit e mentre manca meno di una settimana alla scadenza del 30 giugno, entro la quale i cittadini europei che si trovano sul suolo britannico devono fare obbligatoriamente domanda di residenza. Questa ha due modalità: settled status, ossia concessione di residenza permanente e pre-settled status, ossia concessione provvisoria in attesa di conferma. Per ottenere la residenza permanente bisogna avere vissuto per 5 anni consecutivi nel Regno Unito e ottemperare a certi altri requisiti di cui non sto a tediare. Per saperne di più andate sulla pagina del governo apply to the EU settlement scheme, affrettandovi perché mancano pochi giorni alla scadenza. Dopo la caduta della saracinesca sarà molto difficile ottenere proroghe per registrarsi e chi non lo avrà fatto rischia di non godere più della previdenza sociale e copertura sanitaria di cui finora fruivano i cittadini europei. Oltre a non riuscire a trovare lavoro. E, in ultima istanza,  si rischia l’espulsione dal Paese come qualsiasi clandestino extraeuropeo.

Ho parlato di abitanti europei e non di residenti, perché 5,6 milioni è il numero di persone che ha fatto richiesta di residenza, di cui solo 5,1 milioni hanno ottenuto lo status di settled (2,8 milioni) o pre-settled (2,3 milioni) . Circa 241mila sono per ora stati respinti al mittente o hanno desistito nella richiesta. Ci sono forti probabilità che il numero dei richiedenti a fine mese si avvicini ai 6 milioni e che ancora sia per difetto, perché molti non si registreranno per scelta, per ignoranza o per incapacità.

Il punto di questo blog sta peraltro altrove: nessuno si attendeva che tanti cittadini europei vivessero nel Regno Unito, a partire dal Governo britannico, che inizialmente stimava il contingente alieno in poco più di tre milioni, ossia quasi la metà.  Se anche una piccola parte di questo esercito non fosse in regola, dobbiamo prepararci in futuro a una serie di nuove tristi vicende umane che si presenteranno. Ciò mostrerà il lato più tagliente della Brexit. Persone che erano giunte sull’isola convinte di rimanerci vita natural durante in virtù della libera circolazione che garantiva la UE rischiano infatti il trauma dell’espulsione. Nuove tensioni possibili sono dunque in vista nei rapporti sempre più tormentati tra Londra e le altre capitali europee.

D’altronde, secondo le statistiche, questa vicenda ci riguarda molto da vicino, dato che dietro ai polacchi (due milioni) e ai Romeni (un milione), con circa 550mila abitanti gli italiani sono la terza comunità europea per popolazione nel Regno Unito. Siamo quindi fortemente coinvolti nella vicenda e, per la legge dei grandi numeri, molti nostri connazionali rischieranno sgradite sorprese nelle prossime settimane che seguono la scadenza.

Sulla vicenda, i media britannici hanno finora adottato un basso profilo, sulla scia degli asciutti comunicati del Governo, che aggiorna mensilmente le statistiche. Si cerca di minimizzare. A guardare con un’angolatura diversa, si tratta in verità di un fenomeno di enormi proporzioni. In inglese c’è una bella espressione: “the elephant in the room” che sta a significare che nella stanza c’è un elefante, ma tutti fingono di non vederlo. Un po’ come il Convitato di Pietra del Don Giovanni di Mozart.  Infatti di pietra si può proprio parlare, dato che i poveri europei impigliati nelle reti della Brexit non hanno una vera identità né una propria voce, malgrado gli sforzi encomiabili di alcune organizzazioni come the 3 million (quando ancora si credeva che fossero pochi) o New Europeans che si battono per tutelare i diritti dei cittadini UE. Questi, in virtù della residenza acquisita, possono votare alle elezioni amministrative e comunali ma non alle politiche, dove le grandi decisioni che li riguardano vengono prese.

Un ultimo fatto, prima di trarre una prima  generale conclusione: secondo stime, 1,6 milioni degli europei in questione vive a Londra, dove pesano per circa il 18% della popolazione della capitale. Si stima che di questi almeno 250mila siano italiani, pari al 3% della popolazione londinese.

Conclusione: per quelli che hanno votato Brexit questi dati rendono loro giustizia, perché provano che era in atto una vera e propria invasione europea che andava arginata seriamente e non con i timidi tentativi di contenimento operati dai precedenti governi conservatori (Cameron e May essenzialmente) dopo l’apertura  incondizionata dell’era laburista di Blair e Brown. Va pero’ segnalato che esiste una lettura opposta, ossia che queste cifre confermano quanto importante sia stata la comunità degli europei e quanto questa abbia contribuito non solo alla crescita dell’economia, ma anche al boom della capitale, che in questi anni ha registrato una crescita molto più elevata della media del Paese e dell’intera Europa. Londra insomma era diventata per molti versi il centro del mondo in termini di innovazione e creatività in buona parte in virtù delle capacità e qualifiche professionali degli europei che vi si sono stabiliti. Per non parlare dei capitali che hanno portato da casa loro le centinaia di migliaia di persone della fascia alta della società europea, le cosiddette elites, investendo il loro patrimonio in questo Paese. Questi benestanti e ricchi professionisti sono tra i primi che hanno cominciato a lasciare il Paese.

La negazione dell’importanza dell’apporto di milioni di europei all’economia e alla società britannica in termini di benessere e qualità della vita, oltre che contributi fiscali – perché in massima parte costoro non pesano sulla sicurezza sociale – è pericoloso.  Impedisce infatti di guardare in faccia alla realtà e prendere le giuste decisioni. La retorica della Brexit di una Global Britain, pronta a commerciare con il mondo ora che è libera dai lacci della UE, deve guardare in faccia al fatto che è grazie agli europei, giunti in massima parte negli ultimi trent’anni in quanto membri della UE, che il Regno Unito ha avuto successo. E che, ora che molti europei se ne stanno andando, dovranno sostituirli con lavoratori peruviani o indonesiani o di qualsiasi altro Paese lontano – a Sud del Mediterraneo, a Est della Vistola e dei Carpazi e al di la’ dell’Atlantico – nella raccolta delle fragole del Kent o a servire birra nei pub di Soho. Questa negazione dell’apporto che hanno dato dei Paesi geograficamente e culturalmente vicini, nel goffo tentativo di costruire una narrativa surreale di un’isola al centro del mondo come fosse un atollo del pacifico che ha rapporti globali con diversi Paesi, tenendo le spalle alla Manica, ha risvolti quasi infantili, come i bambini si nascondono mettendo la testa sotto il cuscino. Salvo poi scoprire, che nel salotto buono del Paese si aggira un elefante europeo.