< Il mondo ha bisogno di una Gran Bretagna globale >. Parola di Boris Johnson. Messa finalmente alle spalle la Brexit, l’Inghilterra, pardon, il Regno Unito, è ora in cerca di una nuova identità. Per i fautori della Brexit, forti di un impermeabile complesso di superiorità, il problema non si è mai posto. Come l’incredibile Hulk, che si gonfia a dismisura, facendo a brandelli i vestiti che lo contengono, il Regno Unito, libero dai lacci della UE, è pronto a passare finalmente all’azione, recuperando lo smalto dei bei tempi dell’Impero. Diventando un partner ambito per tutti. La formula Global Britain è il nuovo mantra. Stracciato il corsetto della UE, che la costringeva alla “modesta” dimensione europea, sminuita dal ruolo di “pari” di altri Paesi, come Francia e Germania (l’Italia è sempre stata vista un gradino sotto) la vecchia Albione è ora pronta a confrontarsi con il mondo intero, giostrandosi a 360 gradi per trarre il meglio dai rapporti con le altre nazioni.
Boris Johnson lo ha messo in chiaro in un recente discorso. La nuova Britannia giocherà le sue carte sul commercio a tutto tondo, la scienza e una ritrovata potenza militare. Tra pochi giorni verrà annunciato un piano di rinnovo delle forze armate estremamente ambizioso, con un aumento dell’arsenale nucleare (con buona pace per gli sforzi per il disarmo) un incremento sensibile della flotta navale e degli equipaggiamenti dell’esercito, oltre che forti investimenti nel settore cibernetico, dove si giocheranno le grandi partite future. La mossa era inevitabile. Dopo avere ridotto in termini reali le spese per la difesa per un decennio e più che dimezzato il personale in un ventennio, i conservatori al Governo dovevano cambiare rotta. Le forze armate britanniche, dotate di mezzi sempre più obsoleti, erano oggetto di scherno. I conservatori versione Brexit, promotori di un nazionalismo populista, dovevano dare una prova concreta di credibilità. A giustificare la nuova corsa agli armamenti, nel recente Defence Review, il Governo parla della necessità di affrontare le nuove minacce planetarie provenienti da Cina e Russia. Come un novello Davide bifronte, il Regno Unito si prepara dunque a combattere in un colpo e simultaneamente due Golia planetari. Uno scherzetto da nulla…
Le forti spese militari in vista, unite ad altri investimenti sul futuro del Paese, per ora più virtuali che reali, sono i pilastri su cui poggia la Global Britain a venire. Chiuse le frontiere agli europei in soprannumero, malvisti sull’isola solo perché cittadini UE senza nulla da offrire, ora il Governo della Brexit spalanca le porte al resto del mondo, a patto che siano talenti portentosi. Talenti che fremono a loro dire di entrare nel Paese del Bengodi, che potrà così cogliere di fiore in fiore. Il complesso di superiorità non è una patologia minore rispetto a quello di inferiorità. É infatti un’incapacità di mantenere la giusta proporzione e prospettiva con la realtà. Non ci vuole un pessimista per capire che un Paese con l’1% della popolazione mondiale e un Pil al quinto posto, ormai a parimerito con Francia e India e poco sopra l’Italia, con tendenza inevitabile a rimpicciolire, a misura che i Paesi emergenti cresceranno, non impressiona nessuno. Vladimir Putin, nelle soventi diatribe con gli inglesi, causate da guerre di spie e scontri su Iran e Siria, non senza una certa strafottenza, ha più di una volta bollato il Regno Unito come un’entità ormai “irrilevante”. Insomma, mentre Londra pare pronta a sfidare i grandi del pianeta investendo miliardi di danaro pubblico con uno sforzo economico sfiancante, i grandi in questione non sembrano essersene accorti. Quanto al rapporto privilegiato con gli USA, non è così stretto. Al di là del fatto che con Biden il legame va assai meno bene che con Trump, Washington, ormai da vent’anni, con l’eccezione della parentesi Trump, dialogava alla pari sia con Bruxelles che con Paesi singoli come Francia e Germania sopra la testa degli inglesi.
Stretto tra l’incudine della Brexit e il martello del Covid, che hanno messo a dura prova l’economia britannica – nel 2020 ridotta peggio di tutte le grandi economie europee con una recessione del 10% – il Governo Johnson ha giocato tutte le carte sulla sfida del vaccino. Dopo una serie di errori strategici gravi, che hanno mietuto più vittime che in ogni altro Paese europeo e, fino a tre mesi fa, del mondo, ad eccezione degli USA, Boris è riuscito a sollevarsi dalla fossa in cui si era cacciato. La rinascita è avvenuta grazie al provvidenziale aiuto di una forte corrente ascensionale e di un abile espediente. La corrente è stata la forza d’urto del sistema sanitario britannico, un robusto mondo accademico e scientifico e una buona logistica e organizzazione del volontariato. L’espediente è stato il contratto di fornitura e le sovvenzioni versate al vaccino ideato a Oxford e prodotto da Astra Zeneca, che hanno dato a Londra un vantaggio temporale risolutivo sul continente europeo. Abilmente, Boris ha costruito attorno a questa manovra una narrativa pro-Brexit, battezzando il vaccino semplicemente Oxford per tingerlo di toni nazionalistici, malgrado sia nato da un’equipe internazionale composta anche da europei e sia prodotto da una casa farmaceutica anglo-svedese con impianti, oltre che in UK, in altre parti d’Europa (tra cui uno grande in Italia) e in India. Sul piano dell’immagine, ha battuto il tasto del Paese agile ed efficiente che sfida il dinosauro continentale. Convincendo in casa propria molti critici e riguadagnando la popolarità perduta.
La sfida all’Europa è stata particolarmente facile, per due motivi: uno strutturale e uno contingente. Quello strutturale è stato di comparare nella guerra mediatica i vantaggi dello stato nazione, agile e creativo, rispetto a un’entità pesante e burocratica, paragonando astutamente due entità non paragonabili. Un’organizzazione che coordina vari Paesi come la UE è altra cosa rispetto agli Sati componenti. E’ come mettere a confronto la Federcalcio con una squadra di football. Sul piano contingente, è però difficile dare torto a Londra, dato che la Commissione UE non poteva muoversi peggio e in modo più goffo e, negli ultimi giorni, i singoli Stati non potevano comportarsi verso il vaccino inglese in modo più contradditorio. Così, una volta che la stessa agenzia europea dei farmaci (Ema) ha stabilito che il vaccino è sicuro ed efficace, Londra, che era prima stata dipinta come un’egoista che si accaparrava dosi a detrimento dell’Europa e poi che mandava in giro un vaccino fasullo, ha trionfato su tutta la linea. Ciò sulla scorta di una scommessa riuscita, ossia di procedere a tamburo battente nei vaccini, con la strategia di privilegiare la prima dose su una fascia di popolazione più ampia possibile rispetto a procedere più lentamente per distribuire due dosi in tempi più ravvicinati.
La concorrenza sui vaccini è un gioco pericoloso, in cui il vincitore oggi può essere il perdente domani. Basta una variante e le carte si rovesciano. Inoltre nulla è più globale e meno nazionale che la lotta a una pandemia planetaria. Allo stato delle cose, in cui contano la rapidità ed efficienza, essa avvantaggia nella logistica e manovrabilità il singolo Paese (a patto che abbia le risorse) rispetto alla congregazione di Paesi. Avvantaggia uno scommettitore e tattico di breve termine come Boris che, davanti a una questione di vita e di morte come una pandemia, riesce a trovare la piattaforma e la tribuna ideale per vendere le meraviglie della Brexit. Il gioco è abile, perché copre a breve carenze strutturali che si riveleranno a lungo termine. Il Paese resta infatti fortemente indebitato, il commercio con la UE, che conta per quasi metà del totale, si sta contraendo, indebolendo l’economia. Una famiglia britannica su 5 vive sotto la soglia della povertà e la scommessa su Scienza e la Difesa, unite alla caccia ai talenti, non compenseranno le tare, ma rischiano di polarizzare alla lunga un Paese che gira da tempo a tre cilindri su sei. Un Paese che aveva peraltro ovviato alle proprie carenze ricorrendo alla sforzo e alle competenze degli oltre 5 milioni di europei che si è scoperta ospitare sul proprio territorio e che continuano a emergere nelle statistiche in vista della scadenza della regolarizzazione di metà giugno.
Questo gioco di tirare le righe su vari argomenti secondo la convenienza politica rischia di danneggiare in modo crescente i rapporti tra Londra e Bruxelles. Diciamolo francamente: Londra non tornerà mai a essere una potenza globale e questo gioco di gonfiarsi come il rospo di Esopo rivelerà la propria pateticità. Londra era entrata a fare parte della UE 45 anni fa proprio perché non ce la faceva ad andare avanti da sola. Da allora nulla è cambiato su questo fronte e il sodalizio con la UE si è mostrato fecondo e felice, a grandissimo beneficio dell’economia britannica, mentre l’Europa ha avuto da guadagnare in termini di pragmatismo, creatività, agilità. La UE, dopo le brutte figure dell’ultimo mese, deve riflettere sulle proprie carenze, specie se ha intenzione di procedere sul cammino dell’integrazione, che personalmente credo sia un’illusione opposta, troppo avanti coi tempi. Dopo 160 anni, l’unità d’Italia, che cadeva proprio giorni fa, è ancora lontana dall’essere realizzata. Figuriamoci quella d’Europa nel giro di pochi decenni. Le illusioni vanno evitate. E per gli inglesi, noti nel mondo per essere pragmatici, l’illusione della Global Britain inventata per sfuggire alla UE, in questo momento è forse la più pericolosa.