Un budget per galleggiare o per navigare? Brexit permettendo…

La pandemia inchioda i Governi sulla difensiva. Nessuno sa realmente quando finirà e insidiose varianti rimangono in agguato. Programmare la politica economica in queste condizioni si rivela un esercizio assai arduo. Ogni pronostico rischia di essere smentito e gli impegni presi di essere traditi. Davanti a questa emergenza continua,  i governanti sono costretti a concentrare il massimo delle energie sul fronte sanitario, per minimizzare ricoveri e decessi, e sull’economia, per evitare effetti dirompenti sull’occupazione che alimenterebbero la destabilizzazione sociale. Per questo motivo, quasi tutti i Governi si sono comportati sul fronte economico allo stesso modo, pompando montagne di liquidità nel sistema e contraendo debiti  per tenere la barca a galla nel mare in tempesta. Navigare tenendo una rotta è per ora un lusso che pochi possono concedersi, ad eccezione forse della Cina che, messa alle spalle la crisi, è tornata a correre.

Il Budget, ossia la manovra finanziaria, presentata il 3 marzo dal giovane Cancelliere dello Scacchiere britannico Rishi Sunak, non ha fatto eccezione. Con un pil che lo scorso anno ha registrato una recessione del 9,9%, la peggiore tra i grandi Paesi europei e la peggiore dal 1709 negli annali del Paese, non c’era molto da scegliere. Sunak ha messo in chiaro che, malgrado le massicce misure di sostegno, nel 2025/6, ultimo anno preso in considerazione nell’orizzonte delle proiezioni del Tesoro, l’economia britannica avrà una dimensione inferiore del 3% di quanto sarebbe stata senza pandemia. In particolare, non tornerà alla dimensione pre-Covid fino a fine 2022 , dopo un rimbalzo dalla recessione previsto del 4% quest’anno e del 7% il prossimo. Ciò al prezzo di una spesa pubblica che il prossimo anno sfiorerà il 100% del pil, con un aumento  di 355 miliardi di sterline, il più alto dal 1941, l’anno del massimo sforzo bellico contro la Germania nazista.

Le misure di sostegno al mondo del business e il prolungamento della cassa integrazione finanziata dallo Stato dureranno fino a settembre, quando si spera che, con un’abile mossa rispetto agli altri Paesi europei, sarà vaccinata tutta la popolazione. Allora la vita ritroverà un minimo di normalità, gettando le basi per la ripresa. Fino allora, sovvenzioni, prestiti, esenzioni di ogni genere terranno a galla il battello nel mare in tempesta. Dall’autunno Sunak ha messo in chiaro che il Governo dovrà staccare la spina della terapia intensiva, per riportare il Paese gradualmente alla normalità, iniziando ad arginare e, dal 2022/23, ridurre, il debito pubblico, abbattendo il rapporto deficit-pil dal 18% atteso il prossimo anno al 3% di fine orizzonte delle previsioni. La ripresa permetterà, nelle intenzioni del Cancelliere, di aumentare il gettito fiscale e rientrare dal debito, da un lato congelando le esenzioni sui redditi personali e dall’altro aumentando le tasse aziendali dal 19% al 25% per le imprese con utili superiori a 250mila sterline l’anno.  Sarà il maggiore aumento delle tasse dagli anni ’60, dai tempi dei laburisti di Harold Wilson.

Passata l’emergenza e iniziato il rientro dal debito, Sunak ha annunciato tutta una serie di misure strutturali che dovranno in parallelo incentivare gli investimenti e forgiare il Regno Unito del futuro, quello che dovrà ratificare il successo della Brexit. Tra l’altro, creerà 8 porti franchi per facilitare il commercio, darà vita a una banca delle infrastrutture con sede a Leeds con un capitale da 12 miliardi di sterline che erogherà 1,5 miliardi l’anno per progetti sostenibili, destinerà ben 25 miliardi per concedere esenzioni di imposta fino al 130% alle imprese che investiranno in beni capitali per aumentare la produttività, creerà un fondo da 375 milioni per imprese “altamente innovative”,  riformerà le leggi sull’immigrazione per attrarre sul mercato del lavoro i migliori talenti da tutto il mondo.

Fin qui le intenzioni e le previsioni. La realtà, nel frattempo, è cupa. La disoccupazione è in aumento, malgrado le misure di sostegno e il prossimo anno dovrebbe toccare il picco del 6,5%. La Brexit, unita alla riduzione generale dei commerci causati dal Covid, ha iniziato a picchiare durissimo sui rapporti commerciali con la UE. L’interscambio con l’Unione europea è infatti crollato di oltre il 13% nel 2020 e quest’anno, da gennaio, con l’avvio della Brexit , giungono segnali preoccupanti. In attesa di dati omogenei generali sul primo trimestre, emerge che l’export tedesco in UK a gennaio ha segnato un crollo del 30%, quello italiano del 38% e francese del 20%. Assestamento iniziale o avvio di un trend di scambi ridotti con quello che era finora il maggiore partner commerciale britannico, che assorbiva metà degli scambi? Inoltre, la banca infrastrutturale, strombazzata con grande enfasi come esempio della Gran Bretagna che prende il mano il proprio destino, libera dai lacci di Bruxelles, si rivela piuttosto un esercizio penoso, dato che la BEI, la Banca Europea degli investimenti erogava annualmente il triplo al Regno Unito, ossia 4,5 miliardi. E i progetti della Global Britain, che vogliono spostare l’enfasi nei rapporti commerciali col resto del mondo, avranno seguito o si riveleranno una pia illusione? Intanto il budget per la Cooperazione internazionale – vanto di Londra perché oltre a mostrare la generosità britannica vero i Paesi più deboli era uno strumento per esercitare influenza – è stato dimezzato. Non un segnale incoraggiante per questa nuova Gran Bretagna in versione imperial globale.

Infine, una pericolosa scivolata, che proprio in tempi di Covid potrebbe costare cara al Governo in termini di consenso elettorale. Sunak ha infatti deciso un aumento dell 1%, pari a 3,5 sterline la settimana (16 euro al mese) al personale sanitario, da un anno impegnato con abnegazione nella lotta alla pandemia. Ha detto che in questi tempi difficili non si possono fare grandi concessioni. La mossa ha incontrato non solo l’ostilità degli interessati, che considerano l’offerta un’elemosina e hanno già minacciato di dimettersi dal sistema sanitario non appena terminata l’emergenza, ma ha causato un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica. Questa ricorda chiaramente il discorso di ringraziamento di Boris Johnson, quando venne dimesso dall’Ospedale St Thomas guarito dal Covid. Emotivamente, può essere visto come un segno di ingratitudine o di taccagneria dei Tory verso le classi lavoratrici. Più sottilmente, apre interrogativi su un Paese che vuole creare un sistema sanitario di prima categoria senza rivali nel mondo. Tanto più che vari dirigenti ed esperti sanitari segnalano che l’aumento della spesa di 20,5 miliardi destinato alla sanità è al di sotto di 8 miliardi del dovuto perché il progetto governativo di rilancio del NHS deciso lo scorso anno da Theresa May possa realizzarsi. Non basta investire sulla ricerca, le eccellenze, i talenti, i fenomeni. Finché i Tory non riusciranno a motivare la gente comune e a investire sulle classi lavoratrici per dare nuova linfa all’economia certe disparità si riveleranno insostenibili, penalizzando l’intero sistema, specialmente in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo.