Una forte crescita tra il 1990 e il 2012, seguita da un andamento ancor più sostenuto dal 2013, sottoposto a un’ ulteriore accelerazione a partire dal 2016, anno della Brexit, fino a concludersi nell’impennata del 2019-20. Un biennio piuttosto caotico quest’ultimo, dato che, nell’ultimo anno, la potente ondata finale si è scontrata con una formidabile risacca, poiché circa 100 mila italiani avrebbero fatto dietrofront, lasciando il Regno Unito, stretti nella morsa del Covid, della recessione economica e di una crescente incertezza causata dalla Brexit.
L’immigrazione italiana nel Regno Unito, uno dei fenomeni piu’ imponenti degli ultimi 30 anni, che ha riguardato almeno 300 mila nostri connazionali, stava diventando insostenibile. Indifferenti a crescenti segnali di saturazione, alle vicissitudini della politica di Westminster e alle incertezze sguite alla Brexit, il gregge degli Italiani diretti verso il Regno Unito ha continuato a caricare a testa bassa, agitando ondate sempre più tumultuose, fino a frangersi fragorosamente. È l’impressione che si trae leggendo un interessante studio del Consolato Generale d’Italia, titolato “La presenza italiana in Inghilterra e Galles” che copre l’ultimo trentennio del flusso migratorio del nostro Paese. Dallo studio sono esclusi Scozia e Nord Irlanda, compresi nella sede consolare di Edinburgo, dove la nostra emigrazione ha comunque avuto un andamento più moderato.
Va subito premesso che lo studio non offre uno specchio fedele della situazione, ma una sottostima, dato che conta soltanto gli italiani iscritti all’Aire, ossia l’elenco dei residenti all’estero che si sono registrati. Lo studio è comunque di grande importanza perché questa compagine è andata crescendo fortemente, raddoppiando da meno di 200mila persone nel 2012 a 415mila secondo i dati di fine giugno dell’anno in corso. Poco oltre 430mila nel totale UK, considerando Scozia e Nordirlanda. Una cifra destinata a salire ulteriormente, poiché, spinti dai timori della Brexit, un numero crescente di italiani ha deciso di mettersi in regola con l’Aire per garantirsi la protezione del proprio Paese, facendo allo stesso tempo richiesta di residenza al Governo britannico per evitare un’eventuale espulsione post Brexit dopo la metà del 2021, quando Londra porrà un termine alle richieste. Questa “messa in regola”, teoricamente destinata a fare collimare gli emersi con i sommersi, dovrebbe nei prossimi mesi darci un quadro ancor più preciso degli Italiani nel Regno Unito, stimato fino allo scorso anno tra le 500 e le 600 mila persone. La cifra potrebbe però essere inferiore se si rivelassero veritiere le stime del Ministero degli Esteri di un rientro di 100 mila connazionali quest’anno seguito allo scoppio del Covid.
A conferma della relativa “giovinezza” delle ultime italiche ondate migratorie, che potrebbero essere distorte da un’affrettata messa in regola con l’Aire di chi risiedeva già da anni, vengono i dati del Governo britannico relativi alle richieste di residenza in UK degli ultimi 12 mesi in vista della Brexit. Con 373mila richieste, gli Italiani rappresentano il terzo gruppo di stranieri europei, dietro a 800mila polacchi e 609mila rumeni, davanti a 286mila portoghesi e 225mila spagnoli. Dato che, chi risiede da meno di 5 anni in UK finisce in massima parte nel limbo di coloro che ricevono un pre-settled status provvisorio, ciò si rispecchia nello situazione dei nostri connazionali, che nel 57% dei casi si trova in questa condizione (rispetto al 42% settled) rispetto a immigrazioni più “antiche” come i polacchi (18% e 81% rispettivamente) i portoghesi (38% a 61%) e perfino gli stessi spagnoli (52% a 47%). Solo i rumeni, con 67% pre settled e 35% settled, riflettono un arrembaggio ancor più recente ai lidi delle isole britanniche.
Se mettiamo da parte le vicissitudini di questo 2020, anomalo sotto tanti aspetti, lo studio del nostro Consolato mette in luce molti interessanti fenomeni all’interno di questa colonia di magnifici 415 mila abitanti in Inghilterra e Galles, più di tutta la popolazione del comune di Bologna (387mila). Innanzitutto si conferma il potere di attrazione di Londra, che da sola ospita 200mila Italiani (tanti quanto Trieste). La grande capitale da 9milioni di abitanti ha attratto nostri connazionali non solo in settori sofisticati come finanza, studi legali, media e comunicazioni, accademia, musica e architettura, medicina, ma anche in grande parte nell’ospitalita’ (alberghi e ristorazione) e tante altre “regolari professioni” tra cui molte di piccola imprenditoria. La grande ondata migratoria italiana degli anni ’60, riguardava inoltre, come in altri Paesi europei, poveri meridionali che vendevano le loro braccia nelle miniere o nel settore delle costruzioni. Quella iniziata a fine anni ’80 più che dettata da motvi di sopravvivenza, lo è stata dal lifestyle, ossia da prospettive di una vita più stimolante e ricca. Ciò è riflesso dalla composizione degli emigrati degli ultimi 30 anni che ormai, a parti invertite, proviene dal Sud e isole solo nel 39% dei casi, dal centro nel 19.5% e dal Nord nel 41,5%. A riprova che ormai la nostra emigrazione è spalmata equamente su tutte le regioni e non deriva da necessità impellenti di chi non ha i mezzi di sussistenza bensi da un desiderio di migliorare, spesso puntando all’eccellenza, come spiega il fatto che l’8,3% proviene da una citta’ come Roma e il 6% da Milano e Napoli ciascuna, come il 15,3% da una regione ricca come la Lombardia, pari a quasi 1/6 di tutti i nostri emigrati. Peraltro in generale 18% dei nostri emigrati hanno titoli universitari e il 14% un diploma di scuole superiori. Se guardiamo alle fasce di età, il 40% ha un età compresa tra i 19 e i 39 e quasi il 60% del totale ha meno di 40 anni. L’eta’ media dei nostri emigrati è peraltro di 37 anni, rispetto alla media della popolazione italiana di 46 anni. Prova ne è che le forze più giovani e migliori in termini di istruzione e capacità lavorativa hanno lasciato il nostro Paese per cercare fortuna in UK, di cui circa metà a Londra.
L’aspetto che dovrebbe più fare riflettere, con buona pace di chi si oppone all’immigrazione in Italia, è che, sul totale degli immigrati in UK solo un quarto è nato in Inghilterra e Galles mentre oltre metà è nata in Italia e un altro 25% è composto da cittadini italiani di origine straniera (moltissimi i brasiliani), a riprova non solo dell’impeto della nuova ondata ma anche, vien da pensare, dell’inattrattività del nostro Paese al punto da essere usato come terra di passaggio e non di stanziamento da stranieri naturalizzati che successivamente puntano a una condizione migliore fuori dai nostri confini. Il che, assieme al fatto che le nostre forze autoctone migliori se ne vanno, suona un fortissimo campanello d’allarme, rafforzando ancora una volta l’argomento che nel nostro Paese il problema non è l’immigrazione, che serve peraltro a tappare importanti buchi nel mercato del lavoro nella fascia bassa, ma l’emigrazione, composta da persone che non considerano la parte alta del mondo del lavoro italiano sufficientemente attraente per rimanersene a casa, a dispetto dal fascino del Bel Paese.