Boris non fa più ridere ed è sempre più deriso

Se si potesse passare la similitudine tra il Governo britannico e un gruppo rock, con il Primo ministro nella veste di front-man, Boris Johnson potrebbe essere assimilato a Mick Jagger dei Rolling Stones. Non un grande musicista strumentale, ma una delle icone canore più riconoscibili della beat generation. La sua forza sta nella somma delle parti, ossia una buona voce e un’abilità scenica notevole che si combinano con un’efficacia molto più elevata di ciascuna componente. Boris, a sua volta, è lontano mille miglia, in quanto a competenza tecnica, non solo rispetto a virtuosi rivali come la tedesca Angela Merkel, o lo stesso Emmanuel Macron, ma anche a molti colleghi inglesi. La sua forza risiede in una carica di simpatia e umanità che finora gli ha permesso di spostare le montagne. Fondamentalmente pigro e distratto, insofferente dei dettagli, piacione ma altamente spregiudicato, Johnson ha sempre confidato nelle proprie doti istrioniche per dominare le platee e guidare le truppe, delegando gli aspetti tecnici agli esperti. Finora ha avuto grande successo.

Da notare che tutti i leader populisti che stanno calcando la scena internazionale in questi anni recenti hanno tratti comuni, nel senso che osteggiano la scienza, odiano la complessità, sono insofferenti alle critiche,  e puntano le loro carte sullo sfoggio della loro personalità, colpendo la gente con messaggi semplici. Quasi tutti hanno un tratto in comune, che piace ai loro sostenitori: sono estremamente aggressivi e per questo ammirati, perché feroci con i rivali politici. Donald Trump, per fare un esempio, ha convinto i propri sostenitori che gli USA sono stati per anni vittime di Paesi parassiti o burocrazie internazionali che li hanno sfruttati e che è tempo di mettere avanti gli interessi nazionali. Sempre collerico e imbronciato, divisivo e aggressivo, Trump cavalca la carta (pericolosa) del revanscismo nazionalista che fu di dittatori come Mussolini e Hitler e che oggi ha accoliti come Bolsonaro in Brasile,  Erdogan in Turchia, Modi in India, e altri dittatorelli minori. Costoro hanno peraltro dovuto sgomitare come lottatori per arrivare in alto, portando la loro rabbia e voglia di rivincita a stile di Governo. Uno stile che incarna e dà sfogo alle frustrazione dei loro sostenitori, aizzati contro le cosiddette elite nazionali e internazionali.

Johnson, che ha goduto di un’infanzia e adolescenza dorate, con studi nelle stratosfere accademiche di Eton e Oxford, oltre a un periodo tra le classi dirigenti di Bruxelles,  (suo padre Stanley era un alto funzionario della UE, sic) con una rete di contatti esclusivi tra chi conta nel Paese, non è certo un rappresentante dei revanscisti con la bava alla bocca. Ha passato la vita divertendosi prima a scuola, dove ha compiuto studi classici tra rampolli della elite e poi come giornalista quando sbeffeggiava da Bruxelles la burocrazia europea spesso inventandosi storie (sono sempre le meglio scritte) come le normative UE sulle forme dei cetrioli. Ha avuto molto successo indovinando ciò che piace alla gente. Sulle ali di quella simpatia e umanità coinvolgente (ha avuto una prima moglie mezza italiana, una  seconda mezza indiana, oltre a un innumerevole numero di amanti) è riuscito ad accreditare l’immagine di un conservatore anomalo, moderno, cosmopolita, irriverente, al passo coi tempi (per anni in giro in bicicletta) e in pace con se stesso. Questa immagine gli ha permesso di strappare voti nel centrosinistra quando venne eletto e riconfermato a sindaco di Londra, suscitando perfino una simpatia di fondo da parte del rivale laburista e predecessore Ken Livingstone, noto come “Ken il rosso”, che ne ha ammirato la carica umana.

Detto questo, Johnson ha saputo incarnare tra i suoi pari quel senso di superiorità delle elite conservatrici che gli hanno ispirato il sarcasmo altezzoso e l’ironia verso gli europei, dipinti spesso con stereotipiche caricature. Ultima della serie, l’uscita che ha fatto il giro d’Europa sull’amore per la libertà degli inglesi rispetto a italiani e tedeschi, che si ammalerebbero meno di Covid perché bovinamente obbedienti all’autorità, probabilmente a causa del portato di precedenti dittature. Parole usate in libertà, considerando che gli Italiani, al di là del ventennio fascista, non sono mai stati famosi per aderire alle regole. D’altra parte, lo stesso Boris ha passato a varie riprese drastiche misure di lockdown (attualmente colpiscono il 25% dell’Inghilterra in modo molto piu’ restrittivo che in Italia, come la regola del limite di 6 nei raduni o l’invito di non andare in ufficio a lavorare) e che, semmai, il senso di “libertà” che si è respirato nel Regno Unito è stato dovuto a disorganizzazione, ritardi, confusione e alle contraddizioni del Governo Johnson che ha inizialmente sottovalutato la gravità della situazione. Su queste contraddizioni e inversioni di marcia ormai esiste in UK una letteratura di scherni e derisioni sull’operato del Governo. Quella mancanza di “serietà” cui indirettamente additava il presidente Mattarella, sta diventando sempre più un handicap per il premier britannico. E per un istrione come Johnson che su ironia e sarcasmo ha costruito una carriera, essere preso in giro a propria volta non secondo le regole da lui dettate, può diventare molto pericoloso. Se quella aura di buffone che si è dato e che lui stesso accetta serve a muovere gli animi tutto va bene. Se il lato buffo inizia a diventare cialtronesco e goffo si perde il rispetto della gente.

E qui iniziano i problemi. Una parte del suo partito, trasversale da destra a sinistra, dà segni di crescente insofferenza su come è stata gestita l’emergenza Covid, con un caos nel sistema di tracciamenti e il rischio di una nuova emergenza ospedaliera, dato che i problemi della sanità pubblica, in primis mancanza di personale, restano intatti. Molti lamentano il verticismo del Governo, che non comunica al suo interno a causa di un eccessivo accentramento di poteri tra Johnson, il ministro Michael Gove e il super consigliere Dominic Cummings. Una parte del partito si è ribellato contro la presentazione di una legge che disconosce i patti sottoscritti dall’accordo sulla Brexit raggiunto con Bruxelles lo scorso anno.  Martedi’ potrebbero esserci nuove ribellioni. Un recente sondaggio  sul sito ConservativeHome, che si rivolge alla base militante del partito, ha incoronato al primo posto per popolarità nella compagine di Governo il giovane Cancelliere (ministro delle Finanze) Rishi Sunak,  mentre a Boris è toccato un misero 17 posto. Le cose non vanno bene neppure al di fuori del partito: secondo l’ultimo sondaggio fatto da Opinium per il settimanale Observer i laburisti sono saliti al 42% nei consensi degli elettori, rispetto al 39% a cui sono scesi i conservatori. È la prima volta che i laburisti registrano un vantaggio dal luglio del 2019, dopo la caduta del Governo di Theresa May e prima della forte spinta propulsiva dell’effetto Boris che, presa la leadership, con un’avanzata inarrestabile, ha aumentato la propria popolarità fino al trionfo elettorale. Centometrista, pirotecnico, abile istrione, Boris pare avere perso lo smalto davanti alla dura prova del maratoneta. La morsa a tre di Covid, Brexit e crisi economica, che in UK si è manifestata in modo più grave che nel resto d’Europa, sta insomma sfiancando Johnson. Il quale, esaurito il repertorio di lazzi, iperboli e battute, si trova sempre più inesorabilmente costretto a fare quello che ha sempre evitato con successo: prendere le cose seriamente.