Londra è sempre più un corpo estraneo alla Gran Bretagna, una testa enorme posta su un corpo sottile e gracile. Niente di più errato sarebbe trarre delle conclusioni sullo stato dell'economia e società britannica giudicando quanto accade nella capitale. Questa, assieme al Sud Est del Paese, con 23 milioni di persone affluenti, pesa peraltro per oltre un terzo dell'economia del Paese. Soltanto la capitale, con oltre 8 milioni di abitanti, produce circa il 20% del Pil complessivo. Vale a dire che un ottavo del totale degli abitanti che abita a Londra produce un quinto del prodotto nazionale. Londra è città di contrasti, dato che accanto a oltre duecentomila plurimilionari, di cui un migliaio plurimiliardari, vivono i più poveri del Paese. Ma il tratto distintivo che fa di Londra una vera Città Stato e un posto unico al mondo per varietà e dinamismo è il suo cosmopolitismo: un abitante su tre è infatti nato all'estero, rispetto al 6% di stranieri mediamente nel resto del Paese. La Gran Bretagna sta inoltre soffrendo fortemente della crisi economica, in gran parte a causa del forte indebitamento privato degli inglesi, ma Londra continua ad andare a gonfie vele, con prezzi immobiliari in aumento, in particolare nel centro, dove alcuni quartieri come Fulham hanno registrato negli ultimi 12 mesi una crescita dei prezzi di oltre il 14%. Londra è città di servizi in massima parte, con oltre l'80% della forza lavoro che opera nel settore, e può essere estremamente low tech in settori ancillari come la ristorazione o i parrucchieri. Ma può essere anche assai high tech come testimonia l'area di Shoreditch, il famoso Silicon Roundabout dove fioriscono società di software e internet.
A confermare l'estraneità della capitale dal resto del Paese è giunto recentemente un sondaggio di una società di reclutamento di personale, Astbury Marsden, secondo cui la grandissima parte di chi lavora nella City è disposta ad andare a lavorare all'estero piuttosto che in un'altra città britannica. Lo dice l'86% degli intervistati rispetto al 58% degli "stanziali" disposti a muoversi solo attorno a casa. Il risultato è ancora più netto per fasce di età,,dato che ben il 91% di coloro disposti ad andare all'estero ha meno di 30 anni. Anche se va a merito dei "vecchioni" il fatto che, tutto sommato, tra coloro che hanno 50 e 59 anni di età ben il 76% è disposto a trasferirsi in terra straniera. Insomma, Londra è già estero di per sè, particolarmente la City e chi ci abita ha comunque un cuore nomade.
A riprova che il resto del Paese se la passa peraltro sempre meno bene, giunge un'altra statistica, questa volta dall'OCSE, da cui emerge che gli inglesi stanno peggio di una volta. Da dati del 2013 risulta che l'indice Better Life, ossia di soddisfazione della vita, per quanto questo tipo di misurazione possa essere accurato, è in netta discesa. La Gran Bretagna è scesa infatti di 3 posti, dal 15esimo al 18esimo, sul fronte della felicità, rispetto al 2011. La recessione continua a mordere e dato che a Londra la gente resta soddisfatta, nel resto del paese la situazione è peggiorata. Dall'indice emerge peraltro che non è il danaro a fare la felicità: gli USA, che sono i più avanzati al mondo come redditi medi, sono scesi dal 12esimo al 16esimo posto. E ciò mentre il povero Messico è balzato dal 18esimo al decimo posto. In cima restano saldi Svizzera, Norvegia, Svezia e Danimarca. Società noiose e pastorizzate direte voi, con vite prevedibili, ben diverse dalla Londra dei contrasti. E' che, in momenti di crisi come questo, gli ammortizzatori sociali che hanno i Paesi Scandinavi o la previdente Svizzera danno più affidamento alla gente dell'individualismo anglosassoni che ama la vita sull'ottovolante, procedendo a sobbalzi. Il che può essere magari eccitante per chi sta a Londra ma sempre più deprimente, in tempi di crisi, per chi vive a Coventry, Newcastle, Leeds o Sheffield…