Contro il terrorismo made in Britain la strada è lunga, ma è quella giusta

Sono appena rientrato da una missione di un mese in Afghanistan dove finanzio la costruzione di scuole nel centro del Paese. Parlando con la gente nelle campagne e nella capitale, Kabul, guardando la TV e leggendo i giornali posso assicurare che il 90% della gente non vuole il ritorno dei Talibani e il 10% residuo lo accetta come male minore ma non come scelta vincente. Che poi la gente comune critichi l'attuale Governo Karzai, condanni gli sprechi enormi della cooperazione internazionale, deprechi la dilagante corruzione e veda nell'occupazione straniera la causa di molti mali è un fatto, ma nessuno dice che i Talibani sarebbero migliori. Questi hanno avuto 6 anni per provare cio' che sapevano fare e gli Afghani oggi vogliono solo dimenticarli. Tutti ammettono peraltro di vivere molto meglio di prima, sia nelle città sia in campagna. Chiedono semplicemente un paese piu' giusto. Tanto è vero che in modo assai contradditorio le classi più agiate vedono con terrore gli effetti depressivi sull'economia che causerà il ritiro degli stranieri il prossimo anno. La situazione è dunque assai complessa, come si prova una forma di amore e odio verso un genitore che non si ama ma da cui si dipende.

Tornare a Londra e assistere al barbarico assassino di un soldato inglese in libera uscita da parte di due fanatici sedicenti giustizieri in nome, tra l'altro, della liberazione dell'Afghanistan, proprio mentre le truppe straniere hanno iniziato visibilmente a ritirarsi, ci dà un'idea della disconnessione tra la realtà delle cose e le farneticazioni di giovani che si sono indottrinati su siti internet estremisti o con qualche cattivo maestro in qualche marginale moschea londinese. Quelli dei fatti di Woolwich sono peraltro giovani di origine africana col passaporto britannico per molti versi assai più simili ai loro connazionali inglesi che ai cittadini iracheni e afghani. Sono insomma tanto disconnessi quanto arrabbiati e disinformati e, tutto sommato, ruspanti nella loro ideologia quanto nel loro gesto barbarico, compiuto con strumenti da macellaio. Non credo infatti che non facciano parte di alcun complotto premeditato da una potente centrale del terrore, come non credo lo siano stati i giovani ceceni in America. Siamo davanti a dei disadattati che hanno bisogno di dare una narrativa alla loro rabbia. Una rabbia che ha buon gioco nell'opporre i cattivi crociati contro i buoni islamici, ignorando che oltre metà dei gravi problemi che affliggono il Medio Oriente in questi anni derivano da una guerra sorda e implacabile tra musulmani sciiti e sunniti che fanno riferimento rispettivamente a Iran e Arabia Saudita e combattono per interposte minoranze in un mosaico impazzito di etnie su cui sono stati tirati a casaccio dei confini arbitrari alla fine dell'Impero Ottomano.

Gli stessi fanatici delle bombe del luglio 2005, per quanto addestrati e radicalizzati in Pakistan e assai più organizzati degli scalmanati di Woolwich, vanno fatti rientrare in questa categoria di giovani musulmani frustrati britannici di seconda generazione che si sono ribellati ai loro stessi genitori. Come Michael Adebolajo, di origini cristiane e bravo ragazzo che inizia a frequentare le gang giovanili, prende a sassate l'auto dei genitori e si radicalizza poi nell'Islam. I paralleli che mi vengono alla mente sono con la narrativa radicale dell'estremismo comunista degli anni '70. Siamo davanti a un'ideologizzazione delle religioni. Un copione di fantasia scritto da giovani personaggi in cerca d'autore, che non riescono a integrarsi a una società che fatica ad assorbirli e realizzarli e cercano in un truce romanticismo un'identità più eroica di quanto darebbe loro un lavoro alla cassa di un supermarket. Complice una disinformazione sull'Islam che purtroppo non fa soltanto il gioco degli occidentali ma di tanti cinici musulmani. Col risultato di esaltare e ottenebrare i più deboli di spirito.

La politica in Gran Bretagna ha reagito in questi giorni nel modo giusto: separando l'atto di fanatici estremisti dalla realtà dei fatti e difendendo i cittadini islamici che osservano la legge, sono compassionevoli e onesti e compongono la stragrande maggioranza dei britannici. Specie a Londra, città multietnica fondata sulla tolleranza, dove l'odio razziale o religioso non può avere cittadinanza, pena la disintegrazione della città più cosmopolita del mondo.