Questa crisi finanziaria ci ha ormai frastornato talmente di numeri a 9,10,11 e 12 cifre che non riusciamo piu' a mantenere il senso delle proporzioni. L'effetto leva del debito, i derivati, i prodotti strutturati e i valori nominali stentano a farci distinguere la realta' dalla fantasia. Eppure c'è un altro campo in cui i numeri sono a 9, 10 ,11 zeri e pertanto tutti buoni e reali, dato che escono direttamente dalle tasche dei contribuenti. E' il mondo degli aiuti internazionali allo sviluppo. Sono cifre enormi e altrettanto fuori controllo quanto quelle della finanza d'assalto. Dato che tali aiuti sono pubblici e dunque di nessuno e i Paesi recipienti sono spesso incapaci di gestirli o sono corrotti mentre il controllo del contribuente è tenue, si tratta di un fiume di danaro che si osserva scorrere sbadatamente. D'altronde chi mai si sentirebbe di togliere gli aiuti ai più bisognosi? Si sa da sempre, peraltro, che i soldi della cooperazione non hanno sull'economia l'effetto preciso del colpo di carabina. Il contribuente deve dunque rassegnarsi all'uso del mitragliatore, sprecando un sacco di preziosi colpi per giungere con uno solo al bersaglio. Sono tanti soldi, centiniaia di miliardi all'anno. Sono soldi che in un grave momento di crisi come questo, in cui la gente si toglie il pane di bocca per aiutare i più deboli, dovrebbero essere gestiti con molta più attenzione.
Mi trovo da 3 settimane in Afghanistan dove seguo un progetto di educazione per le scuole primarie e secondarie nel centro del Paese. L'Afghanistan è l'emblema di quanto non doveva e non deve essere fatto. Il Paese è stato letteralmente alluvionato da un massa di danaro, in massima parte americano, che non può assorbire, con il risultato di almentare corruzione, arricchire ex signori della guerra convertiti in mafiosi, far giungere soldi indirettamente ai Talibani, alimentare un'economia parallela fatta di contractor stranieri e ONG che ingrassano tra loro in un vortice di appalti e subappalti e tengono in piedi un'economia drogata nel senso letterale. Un ciclo kafkiano che non ha né capo né coda. Un gigantesco tumore, mille volte più grande dell'organo che ha attaccato come un prodotto derivato rispetto al valore sottogiacente. L'Afghanistan è il caso emblematico di fallimento della cooperazione per un accavallarsi di sprechi, anacronismi, incroci tra fini e mezzi e interessi inconfessati che rischiano di danneggiare ancor più un Paese poverissimo che ha alle spalle 30 anni di conflitti.
E' un fallimento che ironicamente fatichiamo peraltro a quantificare, dato che il Paese ha un sistema statistico approssimativo e i numeri circolano in libertà. Una palestra di esperimenti fatta in gran parte da persone di buona volontà che operano però su un corpo moribondo con overdose di danaro piovuto dal cielo. Insomma, una quantità spropositata di pesci che stanno a marcire e non riescono a sfamare la gente al momento giusto invece che un numero adeguato di canne da pesca che ognuno impari a utilizzar. Una dose da cavallo di tempi moderni su un Paese medievale in cui stanno saltando i vecchi equilibri tribali senza che esista un nuovo corpo sociale adatto e uno Stato adeguato che raccolga la sfida. Con un decimo dei 100 miliardi di dollari d'aiuti erogati finora si sarebbe potuto fare lo stesso se non meglio. Controlli, accuratezza, competenza, programmazione, mandano un investimento a buon fine. Infatti questi soldi devono essere visti come investimenti sul futuro del Paese. Vanno curati con la stessa meticolosità che ci mette un privato a seguire i propri investimenti. Purtroppo l'economia di mercato come diceva Adam Smith in massima parte funziona sull'egoismo dei privati mentre l'altruismo pubblico è figlio di troppi padri ed è, al meglio, pasticcione.
La grave recessione che stiamo attraversando deve spingerci a pensare gli aiuti allo sviluppo in modo diverso. Ci sono migliaia di casi di piccole ONG di successo. Ci sono Governi, come quello olandese, che operano con intelligenza con programmi volti ad esempio a stimolare gli istinti imprenditoriali degli afghani che si trovano ormai in un gorgo di dipendenza dagli aiuti stranieri . Per far partire un motore bisogna miscelare la giusta dose di benzina nel carburatore. Se il flusso è troppo il motore si ingolfa. E' un lusso che i Paesi sviluppati non possono piu' permettersi. L'aiuto allo sviluppo, fondamentale per ragioni umanitarie, va ripensato sempre più in modo pratico e imprenditoriale . Peraltro questa grande bolla d'aiuti figlia dell'inerzia dei bei tempi di un Occidente ricco è destinata inevitabilmente a sgonfiarsi. Il denaro facile è finito, anche in questo campo.