Breve, medio o lungo termine? That is the question

Nel  Financial Times di oggi 30 dicembre,  c'è una sorta di strenna di fine anno raccontata succintamente in numeri. A volte i numeri hanno vita propria e parlano da soli. Come pure le graduatorie. Il mondo anglosassone vive sempre più di queste cose che ormai permeano la vita di ognuno in modo ossessivo. Tutto è sempre più misurabile, una sorta di placebo della mente per interpretare un mondo che sfugge. Tra i numeri che ha "dato" l'FT me ne ha colpito uno, anzi quattro, tutti legati alla celeberrima saga di BP, il colosso petrolifero britannico coinvolto nella catastrofe ecologica del Golfo del Messico. L'FT dice che, per non avere speso 118mila dollari in più di controlli sul tappo di cemento della piattaforma di Macondo la società rischia di dover pagare danni per 40 miliardi  dopo avere versato in mare 4,9 milioni di barili che avrebbe potuto vendere sul mercato per 432 milioni. La società, insomma, ha sacrificato il lungo termine privilegiando il breve. Un vizio frequente nel mondo anglosassone. Pensavo che in questo scorcio di fine anno una breve riflessione sul sentimento del Tempo possa essere pertinente.


Celebre è d'altronde la frase del grande economista John Maynard Keynes legata allo svolgersi degli eventi mondani: "nel lungo termine siamo tutti morti". La risposta beffarda, data a chi si piccava di prevedere eventi e i loro effetti a distanza di anni, potrebbe essere posta a simbolo dello spirito che ha portato alla crisi finanziaria de 2008. Crisi nata e cresciuta all'insegna del Carpe Diem, alimentata da un'avidità che ha privilegiato l'immediato, senza mai pensare seriamente alle conseguenze dell'uso sfrenato del debito. Ancora oggi peraltro se parlate con gli inglesi nella City di Londra, certamente fanno ammenda sugli eccessi dell'inizio degli anni Duemila, ma nessuno, tranne un pugno di intellettuali-Soloni è pronto  ad avviare un'ampia autocritica di questo modo di procedere assai anglosassone. Sarebbe un'umiliante ammissione di colpa nei confronti dei cugini tedeschi che hanno sempre criticato il capitalismo del mordi e fuggi e delle locuste o nei confronti dei cinesi che del lungo termine fanno una religione. In Cina si ragiona ancora oggi per ere. Ancora di recente, peraltro, non sono mancate le critiche contro la taccagna miopia di chi in Gran Bretagna non ha investito per prepararsi all'inverno e ha preferito essere reattivo agli eventi a costo di avere gli aeroporti chiusi per tre giorni. Insomma, il motto di chi lavora su quest'isola pare essere sul fronte dei guadagni "pochi maledetti e subito" piuttosto che una paziente attesa che dia i propri frutti. Ma spesso importanti verità nascondono la loro nemesi. Il lungo- terminismo porta infatti a pianificazione, rigidità e per certi versi a costruzioni astratte che poi la realtà smentisce. Il breve-terminismo è una sorta di fatalismo di chi si adatta agli eventi e li prende come vengono e si dipanano. Paradossalmente, insomma, è un'altra forma di saggezza, altrettanto virtuosa quanto la previdenza. E' piuttosto il concetto di avidità che, legato alla miopia del breve termine, fa sconquassi. Su questo si dovrebbe meditare guardando agli anni trascorsi. E l'avidità non ha frontiere né etichette etniche e culturali.