Forse uno dei motivi che ci ha spinto nella morsa di una crisi economica epocale è l'ossessione dell'Occidente in generale e degli Anglosassoni in particolare per le misurazioni. Da anni l'idolatria dei numeri e della scienza la fanno da padroni, al punto che negli ultimi anni della Grande Bolla Finanziaria le menti migliori uscite dalle facoltà di chimica, matematica e fisica migravano nella City per costruire prodotti finanziari sempre più arditi e astrusi, sempre più matematicamente impeccabili nella beata illusione di controllare il fattore rischio e creare la formula dell'eterno benessere con una serie di prodotti derivati e hedge che ci permettessero di assicurarci il presente scommettendo sul futuro. L'ultima sparata dell'ormai onnipotente mondo della scienza è giunta da Stephen Hawking, l'astrofisico di fama internazionale che, nel suo nuovo libro Il Grande Disegno, in libreria dalla prossima settimana, nega la necessità dell'esistenza di un essere superiore per dare vita all'Universo. Insomma un "Dio-accendino" che avrebbe dato fuoco alle polveri della creazione sarebbe del tutto superfluo dato che il Big Bang sarebbe avvenuto, secondo Hawking, autonomamente, per una sorta di "autocombustione".
L'idea di Hawking è rispettabilissima ma vale come tante altre. Scienza e numeri, tanto in auge tra inglesi e americani, sono infatti ottimi strumenti che illuminano nuovi angoli bui della nostra esistenza. Ma non sono nulla più e non riescono a spiegarne le cause ultime. Certo, dice Hawking, se riuscissimo a mettere in piedi una teoria generale dell'esistenza che possa spiegare tutto avremmo raggiunto la mente di Dio. Ma è proprio necessario? Oggi davanti alle anticipazioni del libro di Hawking il capo rabbino del Regno Unito, Jonathan Sacks, ha reagito ricordando che mentre la scienza è spiegazione la religione è interpretazione e che, così come si entra in zona rischio quando la religione vuole travestirsi da scienza, altrettanto bisogna stare attenti quando la scienza diventa una religione. Una religione pericolosa aggiungo io, quando la nostra vita viene trainata da numeri puliti, geometrici e impeccabili ma altrettanto acefali e senz'anima. Come ho potuto testimoniare io stesso incontrando tanti cervelloni della City che si riempivano la bocca di formule matematiche dallo svolgimento impeccabile salvo poi scoprire che queste erano al servizio di una sfrenata e infantile avidità che mirava semplicemente a riempirsi le tasche di bonus come i bambini con la marmellata. Ma il fascino per i numeri tra gli Anglosassoni è li da vedere. Oggi il quotidiano londinese Evening Standard riferiva con grande ammirazione la storia di un bambino genietto che a 5 anni ha finito la scuola dell'obbligo (che in Gran Bretagna arriva fino a 16 anni di età) col massimo dei voti per poi essere ammesso quest'anno nel prestigioso ateneo di Cambridge all'età di 15 anni, primo caso da 200 anni a questa parte. Ricordando che, una bambina genietto, anni addietro era arrivata a Oxford, ancor prima, a 12 anni, pur avendo terminato gli studi dell'obbligo a 9 anni, 4 anni dopo del nostro ragazzino. Sono storie ammirevoli, certo, ma un po' da freak, da baraccone, da Guinness dei record. Spesso questi giovani sono infatti fortemente sbilanciati su certi temi e materie che permettono loro di fare performance sorprendenti. Attraendo l'attenzione della gente. Salvo poi dimenticare che spesso pagano con vite infelici. O, tutto sommato, banali, come la genietta matematica di cui sopra che oggi, dopo una partenza a razzo, non cammina sulle acque o vola nello spazio siderale ma fa l'insegnante universitaria. Nel caso più recente del giovane genietto Arran Fernadez, questi ha ricevuto l'educazione esclusivamente in casa dal proprio padre. Costui ha peraltro spiegato come tanta pazienza, comprensione e amore siano un viatico per passare concetti e formule molto migliore del clima stantio e marziale delle scuole. Ecco che un fattore come l'affetto, se non l'amore, permette performance assai importanti rispetto al clima di gara contro il tempo che c'è sui banchi di scuola. Ma il tema è certamente destinato a passare in secondo piano nella sempre più americanizzata Gran Bretagna dove la parola d'ordine pare ormai "anticipare tutto e non farsi sfuggire niente". Una frenesia urbana che i bambini iniziano a succhiare col latte materno. Intanto godiamoci i piccoli geni, con tanti auguri per i genitori. Evitiamo però che divengano i nuovi idoli della civiltà frenetica in cui viviamo, che ci spinge a prendere la vita a morsi, rapidamente, senza assaporare nulla. Ricordiamo che paradossalmente è stata la calma del padre di Arran a fargli apprendere di più di quanto avrebbe potuto rispetto alle scuole tradizionali che selezionano sempre più sulla velocità di esecuzione degli studenti. Questi, da grandi saranno funzionali a una società di misurazioni di ogni genere, dai soldi al Tempo, dall'infinitamente grande all'infinitamente picccolo fino a risalire all'origine dell'Universo. Tutto infantilmente sotto controllo senza che in realtà nulla lo sia.