Cervelli italiani fuggono all’inglese

Forse non tutti sanno che in Gran Bretagna insegnano ben 1.875 accademici italiani, di cui 680 nella sola Grande Londra. Non sono professorini da poco, che tirano a campare in attesa dello stipendio a fine mese, dato che in buona parte sono ricercatori di altissimo livello in campi come la fisica, la medicina e l’economia. Lo scorso anno la divisione scientifica dell‘ Ambasciata d’Italia ha condotto una ricerca meritoria su un campione di 150 accademici, quasi il 10% del totale, inviando loro un articolato questionario per capire i loro orientamenti. Risultato: tutti si trovano bene dove stanno e quasi nessuno ha manifestato l’intenzione di rimpatriare.

Se è vero che l’88% degli interpellati concorda sul fatto che l’Italia dà una migliore preparazione universitaria della Gran Bretagna, quando si tratta di mettere a frutto nel lavoro accademico tale educazione, il verdetto nei confronti del nostro Paese è negativo su tutta la linea. Dal sondaggio emerge infatti che i rapporti che gli accademici intrattengono con colleghi e istituti italiani sono "deludenti" o "spiacevoli" nel 17% dei casi e comunque "difficili" nell’87%. Del nostro Paese viene stigmatizzata la burocrazia, l’assenza di merito, la mancanza di trasparenza e, soprattutto, lo scarso riconoscimento professionale. Per questi motivi hanno lasciato la patria natìa e il 75% non ha intenzione di rientrare. D’altronde il 70% ha fatto carriera come accademico o ricercatore, risiede in Gran Bretagna da più di 3 e meno di 10 anni. E, quanto più conta, l’80% afferma di guadagnare "meglio" o "molto meglio" di quanto avrebbe guadagnato in Italia. Nel 87% dei casi i nostri professori espatriati sono "soddisfatti" o "molto soddisfatti" dei rapporti con le strutture pubbliche per cui lavorano e nel 90% sono soddisfatti della comunicazione con altri gruppi di lavoro. Tutto il contrario di quanto avviene in Italia. Infine devono dedicare un tempo minimo al disbrigo di pratiche burocratiche concentrandosi sullo studio e li’insegnamento. Paolo de Coppi, 35enne assurto alle cronache per la sua ricerca sulle scellule staminali al Great Hormond Hospital, l’ospedale dei bambini di Londra, rileva che il lavoro è avvicente ma anche pieno di responsabilità < Viene data maggiore autonomia operativa rispetto all’Italia a chi ha idee da proporre oltre a maggiori opportunità, specie per i giovani che possono sfruttare al meglio il loro potenziale >. E aggiunge < In Italia molti si siedono sugli allori in un ambiente protetto: se io decidessi di rimanere qui, verrei sottoposto ogni 5 anni a un controllo per valutare se ho prodotto in modo adeguato. E’ il modo migliore di garantire un ricambio di energie e competenze. In Italia siamo all’opposto >. Tutto qua. Credo a questo punto non servano altre spiegazioni.

  • s899500 |

    Il problema italiano è a livello legislativo ecco perchè tutti “scappano a londra” soprattutto nel campo economico.
    L’italia da troppe agevolazioni alle aziende permettendo loro di assumere manovalanza qualificata a bassissimo costo tramite stage! Lo stesso lavoro che svolgiamo in italia tramite stage ci viene offerto a londra con degli stipendi da capogiro! le possibilità di carriera nella city sono di gran lunga maggiori anche se, il contratto lavorativo non è sicuro come in italia. In italia è ancora troppo in voga la RACCOMANDAZIONE questo è anche uno dei fattori che porta giovani laureati ad andare all’estero. L’Italia è un paese vergognoso da questo punto di vista!

  • sir alex ferguson |

    il sistema universitario italiano, tarpa le ali ai meritevoli, rendendo così inevitabile , tra il disinteresse generale dei politici, il vero fenomeno di questa alba di secolo, ossia:l’ emigrazione intellettuale italiana, verso lidi più ospitali, lucrativi and the last but not the least ,meritocratici.

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