L’acciaio inglese dai piedi d’argilla

La dura realtà sta mettendo alla prova 30 anni di ideologia liberista in Gran Bretagna. La controllata britannica di Tata Steel, controllata dalla conglomerata indiana Tata, è infatti alle corde. In forte perdita da mesi ha ormai un valore di mercato quasi vicino allo zero. Tata è decisa ormai a vendere o a difetto a chiudere entro tempi brevi. Oltre 15mila posti di lavoro sono in pericolo, a cui si aggiunge un indotto di altri 25mila. La cittadina di Port Talbot, maggiore centro produttivo completamente dipendente dall’acciaio, rischia di implodere. L’acciaio inglese rischia di scomparire. Il Governo inglese non sa che pesci pigliare ed è accusato dai media di avere temporeggiato senza decidere. Negli ultimi giorni sono giunti segnali contradditori. A un certo punto un esponente del Governo ha lasciato intendere che si poteva nazionalizzare. L’ipotesi è rientrata dopo le secche smentite del ministro del Business Sajid Javid e lo stesso David Cameron. I quali si sono trovati presi in contropiede nel pieno della crisi dato che uno era in Australia a tenere un discorso sui pregi del libero scambio e l’altro in vacanza a Lanzarote. Ora rientrati in tutta fretta devono affrontare un’emergenza terribile.

E’ un vero guazzabuglio, economico-ideologico. Il thatcheriano Javid si trova davanti a una dura prova ideologica. Nazionalizzare, almeno temporaneamente in attesa di un fantomatico compratore? Ma chi si farà avanti in queste condizioni? Il dumping cinese ha spezzato le gambe all’acciaio inglese che si trova davanti a costi energetici superiori al resto d’Europa: 35 sterline per Megawatt rispetto alle 25 d’Oltremanica. Gli inglesi, che si sono sempre opposti agli aiuti di Stato, ora rischiano in caso di un aiuto di Stato, di incorrere negli strali della Unione Europea che già sul tema ha fatto la voce grossa con altri Paesi, Italia compresa. L’ideologia liberista è messa a dura prova. I pragmatici sostengono che come si sono salvate le banche si può ora salvare un asset strategico per il Paese come l’acciaio. Ma come? L’Europa, tacciata di socialismo e protezionismo dai tories, rischia di scavalcarli ironicamente a destra. I laburisti sparano sul Governo, accusandolo di miopia, dato che erano mesi che giungevano segnali sempre più preoccupanti. Il libero scambio e la globalizzazione mondiale, difesi a spada tratta dai conservatori, li hanno messi nei fatti con le spalle al muro. Per trovare una via d’uscita sarà inevitabile lavorare di fantasia a scapito dell’ideologia.

  • diana |

    specularmente, se il mio settore chiudesse non so se riuscirei a riconvertirmi in lavoratore dell’acciaio. E anche se ci riuscissi, ci sarebbero altre decine di migliaia di persone nella mia stessa condizione e non tutti potremmo essere assorbiti.

  • Marco Niada |

    Mah guardi, gli inglesi sono stati maestri nelle riconversioni e lo hanno provato chiudendo tutta l’industria del carbone in pochi anni cambiando faccia all’economia del Galles. L’esperimento e’ riuscito a meta’ dato che la regione vive ora di altri sussidi e ha un’economia in difficoltà. Le riconversioni miracolose erano un sogno degli anni ’90 e dopo l’entusiasmo iniziale stanno mostrando la trama anche perché’ internet continua a falcidiare le classi medie erodendo dal basso i lavori manuali. Riconvertire 40mila persone che da generazioni vivono nel settore dell’acciaio non e’ un esercizio facile. Per questo e’ un boccone difficile da digerire anche per i conservatori che sono stati pionieri nella chiusura di interi settori industriali. Inoltre, con la crisi economica che non passa, l’esercizio si rivela ancora più’ difficile, come si vede, almeno per ora, dall’assenza di compratori per Port Talbot. Sugli USA sono d’accordo con lei

  • habsb |

    Egr. dr. Niada,

    se come dice una tonnellata d’acciaio inglese ha un costo di produzione di $200, contro $10 in Cina, allora non mi sembra sia questione di liberismo, ou di Europa, ma di semplice buon senso.
    Perché mai Tata, o i contribuenti inglesi dovrebbero gettar via soldi in questo modo ?
    Non sarebbe meglio trasferire quei lavoratori in altre imprese dove gli inglesi conservano la loro competitività, come la farmacia o la finanza ?
    Quanto agli USA, sono un paese fortemente protezionista, e ancor più lo diventeranno con il prossimo presidente, sia esso Trump, Sanders o Clinton.

  • giuliano beghi |

    Eh sì, dura lex anche per gli inglesi.
    Fuor di metafora, anche i conservatori inglesi devono oggi confrontarsi con situazioni non solo industriali, ma anche umane, di non facile soluzione. Va senz’ altro bene esaltare la globalizzazione, ma bisogna pure avere i piedi a terra quando il dumping cinese ti mette fori mercato. E allora, c’ erano gli inglesi a Bruxelles in occasione della manifestazione che appunto osteggiava il provvedimento UE che vorrebbe dara alla Cina la ‘patente’ di economia di mercato?

  • Marco Niada |

    I cinesi fanno il dumping in tutta Europa. Gli inglesi come tutti sono in difficoltà anche perché oltre alla sterlina indebolita hanno il costo dell’energia più’ caro della media europea. Gli inglesi paradossalmente si erano finora opposti a che la UE ponesse tariffe piu’elevate contro la Cina. Ora sono in difficolta’ perché’ un produttore controllato da una società’ indiana che peraltro compra paradossalmente acciaio dalla Cina e non dai propri impianti per le auto che produce in UK (Jaguar e Land Rover) ha deciso di chiudere. Il che porta il problema sul piano politico. Tata ha pagato 6,2 miliardi di sterline (quasi 8 miliardi di euro) per comprare l’acciaio inglese nel 2012 al picco del ciclo, ne ha investiti altri 300 milioni e in gennaio avrebbe dovuto aggiungerne altri 500 milioni per il rilancio. L’impianto di Port Talbot perde da solo circa 400 milioni (450 milioni di euro). In Gran Bretagna il costo per produrre una tonnellata di acciaio è 200 dollari equivalenti mentre in Cina è circa 10 dollari. Questi i fatti. Il mio blog non ha l’obiettivo di fare la gara a chi sta peggio (per giungere alla conclusione che in Italia stiamo sempre peggio) ma per spiegare l’ironia di un autogol degli inglesi che si sono sempre opposti ai dazi contro la Cina e ora sono nel panico. Gli Usa hanno imposto dazi del 236% sull’acciaio cinese e non credo siano un paese particolarmente protezionista anche se molto di più di quanto si pensi.

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