Uno dei misteri della politica inglese è la continua popolarità di Boris Johnson malgrado la raffica di incidenti di percorso del premier britannico durante i suoi due anni di Governo. Crisi energetica, crisi dei trasporti, crisi sanitaria, inflazione in aumento, rapporti in continuo deterioramento con la UE, eppure il biondo condottiero di Downing Street resta sempre sulla cresta dei sondaggi d’opinione. La risposta sta in gran parte nella pochezza dell’efficacia dell’azione di opposizione da parte di Keir Starmer, leader del partito laburista che ieri ha tenuto il primo discorso dal vivo alle assise del partito riunito in conferenza a Brighton. I suoi sostenitori fanno notare che il buon Starmer, che si ammanta del raro titolo di Sir per un capo partito nelle sue funzioni, un titolo guadagnato quando da magistrato era procuratore generale della Corona, ha dovuto correre finora con l’handicap del Covid. Questo lo ha tenuto fisicamente lontano per quasi due anni dall’amato pubblico e non gli ha permesso di svolgere l’azione incisiva che avrebbe dovuto per accrescere la propria popolarità e amplificare il proprio messaggio politico.
Ieri Starmer ha avuto la prima grande occasione di riscatto, con un discorso fiume di 1 ora e mezza in cui ha accusato il Governo di incompetenza assoluta e ha proposto una serie di politiche i cui punti di forza stanno in un piano ambientale da 28 miliardi di sterline che tra l’altro comprende la riqualificazione di 19 milioni di abitazioni, migliaia di assunzioni nel campo scolastico, dove la qualità del corpo insegnante è in continuo declino, forti investimenti nel settore della salute mentale con l’assunzione di 8500 specialisti da parte del sistema sanitario e la generica promessa che tra 3 anni alle prossime elezioni il suo partito si presenterà con una seria piattaforma di Governo. Per il resto ad attrarre l’attenzione dei media inglesi è stato il piano di Starmer (respinto) di cambiare i meccanismi di selezione dei vertici del partito, la continua spaccatura con la sinistra dei reduci corbiniani (sostenitori del precedente leader Jeremy Corbin) che lo hanno fischiato, le gaffes della sua vice, la pasionaria Angela Rayner, che ha preso a insulti Johnson e tutta la elite tory che egli rappresenta e altre minuzie che alla pubblica opinione poco interessano. Per contro, le notizie negative quali il rifiuto di Starmer di appoggiare la richiesta della base del partito di nazionalizzare le società che operano nell’energia e stanno cadendo come birilli una dopo l’altra lasciando 1,7 milioni di clienti a terra e il no alla proposta di aumentare il salario minimo a 15 sterline l’ora che ha spinto alle dimissioni dal Governo ombra il sostenitore del progetto Andy McDonald hanno fatto rumore.
Il problema di Starmer è infatti che deve cercare di rilanciare il partito dopo la catastrofica rovina elettorale del 2019 sotto Corbyn cercando disperatamente una via di mezzo tra il precedente blairismo liberale e il successivo neosocialismo corbiniano. Timoroso di essere ineleggibile perché troppo a sinistra, Starmer finora si è ben guardato dal prendere posizioni forti che avrebbe voluto la sinistra e si è limitato ad attaccare Johnson sul piano “tecnico” dandogli regolarmente dell’incompetente. Le sue proposte non rispecchiano peraltro una visione alternativa della politica che conquisti gli animi della gente davanti a un Johnson che avanza a tentoni tra sceneggiate e colpi di scena, mettendo pezze provvisorie per fronteggiare ogni situazione. Un modo certamente goffo di procedere ma almeno fattivo. Mentre Starmer rischia di fare la figura di quei vecchi pensionati che stanno a margine dei cantieri e dicono agli operai quello che dovrebbero fare. Insomma dopo 2 anni, la montagna laburista ha partorito un topolino, mentre la montagna da scalare che ha davanti Starmer per giungere alla vetta di Downing Street si fa sempre più imponente.