La Kamikaze-Brexit di Boris Johnson

Cosa cambierà nel rapporto tra Regno Unito e UE con l’arrivo di Boris Johnson al Governo? Praticamente nulla nella sostanza in termini di negoziato sulla Brexit, ma sicuramente molto nella forma, con risvolti che rischiano di portare a una brutta piega nazional-populista nel Paese, con una crescente ostilità nei confronti dell’Unione Europea che non preannuncia nulla di buono.

La sostanza innanzitutto: come è noto il Governo conservatore di Theresa May, pienamente sovrano, ha già firmato un accordo con Bruxelles accettato dai 27 Paesi membri dell’Unione. Non è però riuscita a passarlo in Parlamento per il semplice motivo che molti parlamentari si oppongono perché esso riduce la sovranità di Londra, mettendola in un rapporto subalterno con Bruxelles. Secondo i filoeuropei, Londra si troverebbe legata a una ridotta unione doganale senza fruire sia della profondità dell’attuale mercato unico, sia della possibilità di modificare le leggi UE dovendo abbandonare la stanza dei bottoni. Secondo gli anti-europei, il cordone ombelicale della pseudo unione doganale non permetterebbe a Londra la libertà di operare con il resto del mondo in piena autonomia. Il Parlamento ha peraltro messo in chiaro che non vuole un’uscita dura dalla UE perché ciò implicherebbe gravi danni per l’economia del Paese. Bruxelles a tutela dell’Irlanda e della UE ha peraltro congegnato con la May un meccanismo che provvisoriamente mantiene il legame doganale con la UE fino a che non verrà trovata una soluzione al nuovo rapporto futuro. Bisogna ricordare infatti che l’accordo di divorzio raggiunto riguarda il passato e include il versamento di 39 miliardi da Londra a Bruxelles per risarcire i Paesi UE dei progetti che erano stati approvati col sostegno britannico e ora gli altri europei dovranno sobbarcarsi. C’è poi un secondo documento firmato che abbozza i rapporti futuri tra Londra e Bruxelles che attende ancora di essere riempito di contenuti.

Riassumendo: Londra e Bruxelles hanno raggiunto un accordo di divorzio sanzionato da 27 Paesi UE che Bruxelles non ha intenzione di rinegoziare solo perché i conservatori hanno deciso di cambiare il loro leader e primo ministro. Bruxelles resta però disponibile a modificare il secondo accordo sui rapporti futuri. I conservatori della ultra-destra, che hanno ormai compiuto un takeover sul partito, hanno praticamente sconfessato la loro precedente reincarnazione accusando la May di debolezza e chiedendo di rinegoziare in particolare l’aspetto della dogana irlandese che considerano un modo per tenere Londra legata indefinitamente alla UE. In mancanza, come ha messo nuovamente in chiaro Boris Johnson nel suo discorso di insediamento, il nuovo Governo, che ha fatto piazza pulita di tutti i moderati e remainer ed è composto di un drappello di puri e duri, è pronto a trascinare il Regno Unito fuori dalla UE la notte del 31 ottobre, quando scadrà l’ultima proroga concessa da Bruxelles.

L’opzione Kamikaze abbracciata da Johnson è certamente un netto cambio di tattica negoziale. Johnson ha accusato più volte la May di non essersi fatta valere con Bruxelles prediligendo il compromesso e ottenendo un accordicchio. Il nuovo approccio nerboruto del biondo Boris, stanti le condizioni attuali, nella sostanza non è però destinato ad andare da nessuna parte, dato che Bruxelles non può rinegoziare il divorzio e d’altra parte il Parlamento britannico ha messo in chiaro di non volere una hard Brexit. La Brexit pura e dura significa peraltro che, il giorno successivo l’uscita dalla UE, il Nord Irlanda si troverà con una frontiera vera e propria, creando le condizioni per una destabilizzazione dei rapporti tra le due Irlande. Ben peggio del compromesso contestato dai brexiters. La realtà è dunque questa: Johnson per quanto abbia iniziato ad alzare la voce tacciando di traditori i propri colleghi filo-europei che si opponessero in Parlamento al voto per una Brexit dura, è bloccato all’angolo e nelle attuali condizioni può soltanto fare scena senza cambiare la sostanza.

Nella forma però molte cose possono cambiare. L’approccio anti-europeo di Boris può creare un crescente clima ostile verso la UE, che potrebbe far leva sull’elettorato creando un nuovo spirito nazionalista E questo potrebbe giocare a favore di Johnson nel caso di elezioni. L’unica uscita logica da questo stallo legislativo sarebbero infatti elezioni anticipate, profittando della debolezza dei laburisti. Se Johnson le vincesse a piene mani, avrebbe allora un Parlamento pronto a votare la hard Brexit. Non è un caso che si ha ormai sentore di manovre dietro le quinte dirette in questo senso. Lo stesso atteggiamento del nuovo Primo ministro, che sta adottando toni churchilliani, con un appello ai valori di una volta come se il Paese dovesse affrontare un nuovo Hitler o Napoleone, va in questa direzione. La domanda è se Johnson sia in grado di vincere le elezioni a piene mani.

Francamente, vedo l’orizzonte oscurarsi sempre più. Prepariamoci ad atteggiamenti crescentemente ostili di Johnson verso la Ue, con il rischio di un indurimento dei rapporti, non solo con Bruxelles ma con la Francia, l’Olanda e per certi versi la Germania. Prepariamoci a un crescente disagio dei 3,5 milioni di europei che vivono e lavorano in Gran Bretagna e si trovano presi tra due fuochi, con il rischio di rapporti sempre più spiacevoli con una fascia oltranzista della popolazione. Oltre al crescente disagio del milione e mezzo di inglesi che abita nella UE. Prepariamoci soprattutto a una retorica pirotecnica, piena di effetti speciali, iperboli e distorsioni dei fatti, oltre a polemiche continue. Prepariamoci a un indurimento degli schieramenti politici nel Paese, con i filo-europei sul piede di guerra. Ricordiamoci infatti che il 48,1% nel 2016 ha votato per rimanere nella UE e che molti di costoro, che possiedono aziende e proprieta’ o semplicemente posti di lavoro che verranno penalizzati da una hard brexit, sono sempre più agguerriti e pronti a vendere cara la pelle. Imporre in modo duro la volontà del 51,9% sul resto del Paese, considerando che ci saranno danni economici iniziali, ammessi dagli stessi Brexiter, può portare a rancori insanabili all’interno del Paese. Un profondo disagio che va aggiunto a un rapporto internazionale tossico che si verrà a creare con i partner europei. Boris Johnson, sbagliando le dosi della sua battagliera campagna, rischia, più che di danneggiare la UE, di lacerare il proprio Paese.

 

 

  • habsb |

    Sig. Niada

    la maggioranza dei britannici ha scelto di uscire dalla UE.

    Uscire dalla UE non significa fare finta e restarci come paese di serie B. Significa uscirne, e non far più parte dell’Unione, non più di quanto la GB faccia parte degli USA o della Russia. Se la GB vi restasse, sarebbe il 48% a imporre la sua volontà sul 52%

    La sig.a May ha preso in giro per anni l’elettorato. E’ giusto che se ne vada e che lasci il posto a un politico che rispetta la volontà popolare.

    Intanto è notizia di oggi che Johnson si avvia alla firma di un trattato aggressivo di libero scambio con gli USA. Mentre la UE vaneggia di tassare Google, Amazon, Airbnb etc sul loro fatturato, rischiando di rendere indisponibili o disponibili a pagamento tali servizi fondamentali, in nome di una stupida guerra commerciale degna delle peggiori iniziative dell’URSS o dell’attuale RPC.

    Anche l’italia dovrebbe seguire Londra e staccarsi da questa dominazione franco-tedesca per avvicinarsi ai nostri amici angloamericani

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