I drammatici sviluppi degli ultimi giorni, con dimissioni a catena dal Governo May, che barcolla paurosamente prima ancora di presentare l’accordo raggiunto con Bruxelles al Parlamento, stanno mettendo a nudo tutta la scelleratezza del progetto Brexit. Comunque andrà a finire, la decisione di David Cameron di porre all’elettorato la scelta di rimanere o uscire dall’Unione Europea si è rivelata una sciagura per il Paese. Una calamità che rischia di durare per almeno una generazione. Vediamo perché.
Il compromesso raggiunto da Teresa May con Bruxelles è, sul piano negoziale, l’unica scelta possibile, ma non certo una scelta nell’interesse del Regno Unito. Strattonata a destra e sinistra tra remainers e leavers del partito, oltre che confrontata con una Unione Europea decisa monoliticamente a difendere la propria integrità, la May ha partorito l’unico accordo possibile sul piano del rapporto di forze. La UE è soddisfatta e sia i remainers che i leavers si trovano bloccati in uno stallo. I primi vorrebbero ovviamente un legame più stretto con la UE, mentre i secondi vorrebbero lasciare la UE senza mediazioni il 29 marzo, preferibilmente senza neppure pagare il conto dei progetti avviati con il consenso di Londra e messi a budget dalla Commissione. I primi a malincuore sono costretti ad accettare la volontà popolare del referendum, mentre i secondi sanno che se passasse la loro linea ci sarebbe una rivolta del mondo del business e la spaccatura del partito conservatore se non una disintegrazione. L’accordo che il Governo britannico ha negoziato come unica soluzione possibile e che mantiene un legame con l’unione doganale e il mercato unico per salvaguardare la fluidità della frontiera irlandese, rimandando al futuro ulteriori divergenze legislative, è però un mostriciattolo. A detta di tutti, ridurrà infatti la sovranità del Regno Unito, dato che Londra uscirà dalla stanza dei bottoni delle decisioni di Bruxelles e si troverà a incassare le regolamentazioni commerciali dei 27 della UE senza avere più voce in capitolo. Sia i remainers che i leavers concordano paradossalmente sul fatto che l’accordo raggiunto dalla May sia peggio che rimanere nella situazione attuale di membro della UE. I leavers accusano la May di codardia per avere negoziato blandamente con Bruxelles facendo troppe concessioni. I remainers vedono confermata la loro convinzione che il Paese non aveva alternative alla permanenza nella UE. I leavers non riescono però a trovare i numeri per scalzare la May e passare la loro linea dura, della Brexit pura e brutale che avrebbe comunque contro la grande maggioranza del Parlamento se andasse alla prova del voto di Westminster. Ma la Brexit pastrocchio negoziata dalla May rischia a sua volta sempre più di non passare in Parlamento. Rendendo tutto maledettamente complicato.
C’è però una terza via che inizia a prendere forma con crescente vigore ed è quella di un secondo referendum. I leavers la vedono come fumo negli occhi, dato che si farebbe beffe della sovranità popolare che ha già espresso la propria volontà il 23 giugno del 2016. Andare a votare nuovamente significherebbe uno sgarbo delle sprezzanti elites nei confronti del popolo. I secondi sostengono che dare al popolo nuovamente voce oltre due anni e mezzo dopo il primo referendum e alla luce di tutti i cambiamenti avvenuti, permetterebbe invece una scelta più informata nel prendere una decisione che plasmerà il futuro del Paese per almeno una generazione. Meglio due voti che uno insomma. I fautori del referendum sono in massima parte remainers dato che contano su recenti sondaggi che danno una chiara maggioranza alla loro causa, sulle ali di un voto dei due milioni in più di giovani elettori contrari alla Brexit. Nel giugno del 2016 oltre il 70% dei votanti tra i 18 e i 30 anni aveva votato per rimanere nella UE.
Se mai passasse il referendum e se mai questa volta vincesse il fronte del remain, probabilmente anche in misura maggiore di quanto vinsero i leavers nel 2016 ossia remain-leave attorno al 54%-46% rispetto al leave-remain 52%-48% precedente, difficilmente la situazione migliorerebbe perché non ci troveremmo di fronte a un Paese pacificato. I leavers sconfitti serberebbero un profondo rancore di fronte a un voto che considererebbero ingiusto e ciò in un contesto di crescenti pulsioni nazionaliste in Europa e di crescente debolezza della UE. Il Paese continuerebbe a essere spaccato e a disagio con un malessere diffuso. Se è vero che la Brexit causerebbe danni certi all’economia del Paese è infatti difficile sostenere che la permanenza in una UE in declino metterebbe le ali all’economia britannica. Ciò rafforzerebbe la posizione dei leavers sconfitti che a loro volta additeranno nella UE le origini di un cattivo andamento futuro dell’economia.
E qui arriviamo al punto dolente. La UE c’entra molto poco con i problemi del Regno Unito, così come capita con altri Paesi europei. Anzi, i problemi del Regno Unito sono assai più auto-inflitti rispetto a certi altri Paesi UE, che dall’Unione hanno subito una serie di svantaggi. Decenni di sotto-investimenti, mancanza di qualificazione professionale, bassa produttività, eccessiva finanziarizzazione dell’economia, forte polarizzazione della ricchezza, sono problemi strutturali del Paese, denunciati recentemente da un rapporto della Banca Mondiale. Un Paese che in alcune aree della capitale e nelle zone arretrate del Nord possiede sacche di povertà estrema, con problemi sanitari e arretratezza culturale da Terzo Mondo. A tutto ciò si aggiunga l’arrivo della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale che, secondo stime recenti della banca d’Inghilterra, dovrebbe spazzare via 15 milioni di posti di lavoro nel prossimo ventennio, pari a oltre un terzo del totale degli occupati. Davanti a sfide così importanti, che trasformeranno radicalmente la natura dei rapporti produttivi e della distribuzione di ricchezza, la Brexit che, come il sovranismo di Trump, basa il proprio sentire su tradizionali rapporti commerciali internazionali, con radici teoriche all’inizio del XX secolo, è una distrazione pericolosa. Nel caso di Londra, che a differenza della Germania ha pochi ammortizzatori a causa di una mano d’opera poco qualificata, poca industria e una finanza sempre più acciaccata, l’epidemia della Brexit, che si è impadronita delle menti degli inglesi ossessivamente, dal breakfast fino al dinner, rischia di fare milioni di vittime economiche in più nei prossimi anni.