Ho camminato per 4 ore tra i 670mila (cifra stimata dagli organizzatori) che hanno manifestato a Londra contro la Brexit. Uomini, donne, bambini, vecchi, disabili e tanti cani, dato che rischiano di essere i primi a pagar pedaggio con la reintroduzione della quarantena. Una folla oceanica ma composta, da cui emergeva un mare di bandiere europee. Non ne ho mai viste tante in un solo luogo in così breve tempo in tutta la mia vita. E l’ironia ha voluto che tutte sventolassero a Londra, la capitale del Paese euroscettico che si appresta a lasciare la UE. La massima parte della gente era britannica di cittadinanza, ma c’erano anche migliaia di europei, quelli che non hanno potuto votare (sono 3,5 milioni che risiedono in UK) ma lavorano e pagano le tasse da anni e si trovano con un futuro assai incerto. Migliaia erano poi gli inglesi d’oltremare, in rappresentanza di quel milione e mezzo di sfortunati che hanno deciso di vivere sul continente e che rischiano più di tutti. La massa di pensionati che sverna tra Spagna, Portogallo e Francia (e un po’ in Italia) si è vista decurtare pensione e risparmi in sterline del 12% causa la svalutazione seguita al referendum e rischia ora di essere costretta a prendere la cittadinanza del Paese europeo in cui risiede se vuole evitare di essere bloccata a ogni dogana della UE come in un gigantesco flipper impazzito. Sono gli stessi inglesi che, dopo 15 anni che vivono all’estero, a differenza nostra, perdono il diritto di voto a casa loro e, in centinaia di migliaia di casi, non hanno potuto dire la loro sulla Brexit. Di loro pochi parlano, a cominciare dai loro compatrioti, ma sono quelli che più hanno ragione di protestare.
Mi sono chiesto che significato possa avere l’uscita in massa per le strade di Londra di circa 700mila persone di cui almeno 100mila provenienti da altre città inglesi. La splendida giornata di sole con miti temperature ha aiutato certamente, ma ci vuole una forte motivazione per rinunciare a una bella scampagnata o godersi il meritato week-end. Tanto più che avevano già manifestato una volta. Nel settembre dello scorso anno, a sfilare davanti al Parlamento di Westminster, in un’altrettanto bella giornata, erano oltre 100mila. Cosa è successo perché ora a scendere in piazza le folle si siano settuplicate? Perché tanta gente ha deciso di sfidare così energicamente il risultato referendario del giugno 2016? Il ragionamento cardine dei sostenitori della Brexit è che il popolo si è già pronunciato e ripetere il referendum, come chiedeva la nostra folla londinese, costituirebbe un atto di arroganza da parte di chi non sa perdere, oltre che di sfregio alla democrazia, che verrebbe messa ogni volta alla prova dalla non accettazione delle decisioni votate. La folla in cui mi trovavo, aveva tutt’altro l’aria di essere arrogante ed elitista, a giudicare dalla composizione sociale variegata dei partecipanti. Era quieta, educata, auto-ironica, come solo gli inglesi sanno essere. Ciò che li ha spinti a uscire in massa, da quanto si poteva leggere sui cartelli (su tutti trionfava un adesivo giallo, appiccicato ovunque, su persone, cose e cani, con la scritta bollocks to brexit ossia “fanculo alla brexit”) era un crescente stato di disperazione. Una disperazione e ansia montante di fronte a una decisione che avrà effetti per almeno una generazione di inglesi e che il Governo May non pare in condizione di gestire. Dietro a una patina di ironia e di apparente calma, il popolo sceso in strada il 20 ottobre era profondamente arrabbiato perché convinto che è in gioco il futuro della prossima generazione. Non a caso le famiglie con bambini e cani erano rappresentate in massa.
Insomma, gli inglesi che si oppongono alla Brexit, quella metà che ha chiesto di rimanere, ha le idee chiarissime, è fermamente convinta dei benefici che ha avuto dall’appartenenza della UE e sta iniziando a perdere la pazienza. Ma la domanda da porre è: è giusto che si replichi il referendum? Secondo i sostenitori, dato che sono passati quasi tre anni e oggi si sanno molte più cose del giugno 2016 non c’è nulla di male dare al popolo una seconda chance, una volta che Teresa May (se sarà ancora al Governo..) si presenterà a Westminster con la bozza di accordo raggiunta con Bruxelles da concludere entro dicembre. Si potrebbe avere una scheda con tre scelte: accettare l’intesa del Governo, respingerla uscendo dalla UE la notte del 29 marzo 2019 con conseguenze inimmaginabili, o decidere di rimanere nell’Unione. Quest’ultima soluzione è tutt’altro che scontata. Gli inglesi odiano perdere la faccia e molti Brexiter per orgoglio confermeranno “romanticamente” la loro scelta, seguiti da altri che voteranno per l’uscita per questione di principio democratico. Questa soluzione triplice promossa dai promotori della marcia è ragionevole ma non fa i conti con l’orgoglio degli inglesi. Basta scorrere i social e l’argomento ricorrente dei Brexiter è che un voto c’è già stato e non se ne deve parlare più.
Se i promotori del nuovo referendum riuscissero a ottenere quanto vogliono, potrebbero aggiudicarsi il trofeo della rivincita. Secondo recenti sondaggi, il 54% della popolazione sarebbe ora a favore del remain rispetto al 48,1% del 2013. Il motivo principale di tale rivolgimento è l’anagrafe, che gioca a sfavore dei vecchi Brexiter che escono dalle liste elettorali, mentre molti più giovani (per tre quarti pro-europei) si affacciano alle urne. Forse anche per questo i Brexiter temono una riedizione del voto. Ma c’è poi un’altra domanda di fondo che finora resta inevasa. Ammettendo che, a parti rovesciate rispetto al 2013, nel prossimo referendum vinca il remain, il Paese ne riuscirà pacificato? Sul breve e medio termine, a giudicare dall’animosità che emerge dai social in questi mesi, dubito fortemente. Il rischio insomma è che i brexiter perdenti aumentino il loro rancore verso Bruxelles e i loro compatrioti filoeuropei. Portando lo scontro che finora era in Parlamento tra eurofili ed eurofobi a livello della popolazione, con toni che ricordano i contrasti con i papalini cattolici e i protestanti seguiti allo scisma di Enrico VIII. Alimentando il fantasma che tutto il male viene di là della Manica.