La guerriglia dei sostenitori della Brexit al Governo May inizia a mostrare i propri limiti intellettuali, lasciando chiaramente trasparire la velleità dei suoi leader. Ogni giorno che passa emerge con crescente chiarezza la totale incompetenza economica del fronte Brexit, i cui argomenti sono sempre più costruiti su effetti speciali, figure letterarie, esagerazioni e caricature della realtà per colpire i sentimenti della gente e alimentare emotività. Scenari di cartapesta, che hanno però il risultato di disinformare, distorcere il dibattito e allontanare l’argomentazione dalla realtà dei fatti. E che non paiono per ora influire più di tanto sul sostegno che questi godono presso l’opinione pubblica. Peraltro, ci sono segnali sempre più chiari di un complotto degli eurofobi a spese di Theresa May. La cinquantina di voti parlamentari tory necessaria a chiedere le dimissioni del premier e aprire una sfida per la leadership infatti ci sarebbero, anche se è tutto da provare che i Brexiter riusciranno a ottenere successivamente i 158 voti della compagine conservatrice parlamentare necessari per mandarla a casa.
Intanto la temperatura all’interno del partito continua a salire, con toni da guerra civile. Il compromesso raggiunto nel luglio scorso dal Governo sulla Brexit tra i membri del partito (vedi post del 7 luglio) fa sempre più fatica a passare con prospettive buie, dopo l’ennesima bocciatura fatta oggi dallo stesso presidente della Commissione UE, Claude Juncker. La proposta May è un vaso di coccio tra due vasi di ferro. L’altro vaso di ferro è quello dei Brexiter che, ormai giornalmente, bersagliano il vaso di coccio con nuove sassate come monelli di strada, mostrando apertamente ostilità al Primo ministro. Boris Johnson, capofila dei ribelli, ha detto che la proposta è come una cintura suicida esplosiva messa attorno al Paese, pronta a distruggerlo. L’immagine colorita, un campo in cui Johnson è maestro fantasioso, ha suscitato un’ondata di sdegno tra i conservatori di Governo e i parlamentari tory moderati, ma non è servita a tacerlo (non essendo più al Governo, dove faceva il Foreign Secretary, Johnson ora ha le mani libere) tanto più che poco dopo ha rincarato la dose, osservando che la proposta della May risulterebbe in una situazione ben peggiore di quella attuale, perché Londra subirebbe i regolamenti UE senza più partecipare alla loro creazione. La May ha proposto un rapporto con la UE “a la carte” per cui Londra resterebbe allineata alla legislazione di Bruxelles in tema di commercio di beni ma avrebbe divergenza sui servizi. Oltre ad accettare in buona parte la giurisdizione della Corte Europea di Giustizia. Bruxelles ha messo in chiaro che non concederà un rapporto che permetta a Londra di cogliere il meglio di fiore in fiore, mentre i Brexiter considerano la proposta una resa incondizionata all’odiata Unione europea.
I Brexiter si stanno ormai apertamente schierando sulla posizione del “tanto peggio tanto meglio”, chiedendo una linea durissima contro Bruxelles, pronti a lasciare il tavolo negoziale e sbattere la porta della UE, riaprendo un rapporto distante, come qualsiasi altro Paese extraeuropeo e commerciando alle condizioni minime concesse dal WTO, l’organismo mondiale del commercio. Il mondo del business paventa questo scenario e proprio ieri il capo del gruppo Jaguar – Land Rover, Ralph Speth, ha definito come <orripilante> la prospettiva di un’uscita traumatica dalla UE dicendo che metterebbe a rischio decine di migliaia di posti di lavoro e costerebbe in particolare alla propria azienda 1.2 miliardi di sterline l’anno, aprendo una voragine nel bilancio aziendale. La massima parte degli economisti sostiene che un’uscita brusca causerebbe danni enormi al Paese, riducendo il commercio anziché aumentandolo come sostengono i Brexiters. Questi peraltro non hanno mai presentato una proposta alterativa articolata, se non uno studio di due giorni fa del gruppo ultraliberista Economists for Free Trade, secondo cui un’uscita totale dalla UE e commercio sulla base delle regole WTO procurerebbe un’impennata di benessere, con un’incremento di 1.100 miliardi di sterline (1.300 miliardi di euro) all’economia del Paese in 15 anni. Lo studio, benedetto da Boris Johnson e dall’eccentrico Jacob Rees Mogg, è stato coperto di ridicolo da media ed economisti perché considerato totalmente irrealistico. Lo stimato economista Jonathan Portes del King’s College ha definito l’esercizio < una pazzia > oltre che < disonesto > intellettualmente perché si basa su presupposti ridicoli come il fatto che un’azzeramento totale delle tariffe inglesi all’import possa solo beneficiare l’economia del Paese, senza calcolare i settori industriali che soffrirebbero dalla concorrenza esterna e finirebbero con le spalle al muro. Ma, come la storia passata ha provato, l’ultra liberismo che si voleva ammantare di scienza rispetto allo statalismo degli anni ’70 si è provato a sua volta un’ideologia bella e buona, spesso irrazionale e anche con risvolti grotteschi.
Il tempo delle conferenze di partito è vicino e il partito conservatore è in piena fibrillazione. Salterà Theresa May? E semmai, arriverà al suo posto Boris Johnson? La prima risposta non è scontata, dato che esistono delle probabilità. Ma pare piuttosto impossibile che Johnson prenda il suo posto, considerando che la maggioranza del partito non lo tollera. E allora? Disintegrazione del partito? O tutto penosamente come prima? Quel che è certo è che la sassaiola degli insorti continua.