Quando la Brexit si fa “hard”

Non sapremo mai con chiarezza se quanto sta succedendo nell’ultimo mese sia solo uno spauracchio agitato da entrambe le fazioni dei Tory per regolare i conti tra loro. E se in particolare il Governo May strumentalizzi la propria posizione contro i Brexiter, dipingendo scenari da incubo in mancanza di un accordo “soft” con Bruxelles, che dia a Londra un paio d’anni di adattamento dopo la data ufficiale di uscita dalla UE del 29 marzo 2019. Fatto sta che l’ipotesi di una Brexit brutale, scioccante e a ghigliottina, si sta facendo sempre più strada dall’inizio di quest’estate. I Brexiter dicono di essere pronti a cavalcarla piuttosto che sottoscrivere la proposta arrendevole della May, passata, guarda caso, con il loro assenso il 7 luglio scorso. Il Governo ne parla come uno scenario possibile (anche se non desiderabile), forse anche per mostrare a Bruxelles di essere pronta a rovesciare il tavolo in caso la UE non sia disposta a fare concessioni. Il nuovo capo negoziatore britannico Dominic Raab, succeduto a David Davies, ha infatti detto recentemente che se si dovesse giungere a una Brexit hard, Londra potrebbe rimangiarsi in parte o addirittura in toto l’impegno di versare 39 miliardi di euro per risarcire la UE dei progetti comunitari avviati con il consenso britannico che altrimenti ricadrebbero sulle spalle degli altri partner europei.

Quello che è certo è che una Hard Brexit , se dovesse vedere la luce in mancanza di un accordo con Bruxelles, causerebbe dei danni seri all’economia britannica. Quanto seri  è oggetto di studi e speculazioni, anche se nessuno degli scenari dipinti è confortante. La fonte indipendente più autorevole, la Banca d’Inghilterra è tornata ieri sul tema con un monito inquietante. Il Governatore, Mark Carney, il cui mandato è stato prorogato al 2020 proprio per garantire una copertura nel periodo cruciale della transizione, ha infatti affermato in un’audizione parlamentare che una uscita brutale dalla UE potrebbe avere un impatto sul Paese, equivalente alla crisi finanziaria del 2008 con un crollo dei prezzi immobiliari tra il 25% e il 35%  e un forte impatto sulle finanze pubbliche, dato che lo shock che proverrebbe dal lato della offerta perché l’economia si incepperebbe, porterebbe rapidamente a una caduta della produzione.

Il Governo ha peraltro pubblicato  un breviario sulle conseguenze negative di una Brexit hard, a cui ha iniziato a prepararsi e a preparare i vari dipartimenti interessati. L’impatto avverrebbe a raggiera su tutte le attività dei cittadini. Dalla patente inglese, che dal giorno alla notte potrebbe non essere più riconosciuta sul continente europeo, ai telefonini, che si vedrebbero togliere gli accordi di roaming con un’impennata dei costi, ai controlli alla frontiera tra le due Irlande, che potrebbero deteriorare fortemente il clima economico e politico al Nord, ai passaporti britannici, che al di sotto dei 6 mesi di scadenza potrebbero non essere accettati dalle autorità europee, oltre al fatto che tutti i nuovi verrebbero emessi in due versioni una rossa scura come quella attuale senza più la dicitura “Comunità Europea” in attesa dell’arrivo del nuovo passaporto blu (ironicamente prodotto da un’azienda francese) che non sarà pronto prima di un paio d’anni. Per non parlare dei prodotti alimentari britannici, che di colpo dovranno provare di rispettare gli standard di sicurezza UE, o le auto prodotte in UK, che a loro volta dovranno provare di continuare ad aderire agli standard ambientali e di sicurezza richiesti dalla UE. Un ‘incubo per le tre case giapponesi che producono sul suolo britannico oltre alla Bmw, Jaguar Land-Rover, Peugeot e Ford. Per non parlare dei medicinali, che dovranno rinnovare le loro licenze, l’utilizzo dei dati personali, che sono stati recentemente oggetto di una direttiva UE e ora devono essere rivisti, licenze di trasmissione TV, regolamentazioni ambientali, programmi spaziali comuni europei in cui la partecipazione UK è ora a rischio, i sussidi a progetti accademici e scientifici che si troncherebbero da un giorno all’altro.

Insomma, il 29 marzo potrebbe diventare il giorno del Grande Freddo, che piomberebbe nei rapporti tra le due parti della Manica, con danni devastanti per i britannici, ma anche per i Paesi europei che più beneficiano nelle relazioni economiche con Londra. Per non parlare dei 3,5 milioni di europei che risiedono in UK e che, oltre ad avere un futuro ancora incerto nel Regno Unito, rischierebbero di averlo anche nella UE, come riflesso del peggioramento dei legami tra Londra e il resto d’Europa, trovandosi doppiamente “cornuti e mazziati”…