Trent’anni dopo Margaret Thatcher, i conservatori britannici, con un’inversione a 180 gradi, sono tornati, come nel gioco dell’Oca, al punto di partenza, ai tempi del vecchio ex-premier Ted Heath. Dalla destra libertaria della Lady di Ferro, secondo cui <non esiste una cosa chiamata società>, per cui il benessere di un Paese deriva dallo sforzo degli individui singoli e l’unico nucleo solidale riconosciuto era la famiglia, passando per la “Big Society” di David Cameron, basata non sullo statalismo, ma sul solidarismo degli individui e il volontariato dei cittadini per supplire alle carenze della mano pubblica, si è ora approdati allo Stato Benevolo. Quello che interviene per <rettificare> le carenze del mercato e si opera per piegarne gli abusi.
Il nuovo vangelo dei Tory è stato illustrato oggi a Birmingham alla Conferenza del partito da Theresa May, nuovo leader del partito nonché Primo Ministro dopo la rovinosa uscita di scena del predecessore David Cameron. La May ha parlato di un Nuovo Centro che il partito deve occupare, ispirandosi a principi di <correttezza e opportunità> per tutti, per potere venire in aiuto <della gente comune della classe lavoratrice>. Tutti insomma <si devono adeguare alle stesse regole, ognuno indipendentemente dalla propria estrazione e dei propri genitori e devono avere una chance di realizzare le proprie aspirazioni>. La May ha poi attaccato la sinistra socialista e la destra libertaria per non avere capito le aspirazioni della gente e ha dipinto i nuovi Tory come <il partito che può agire nel vero interesse del popolo>.
Sembra passato un secolo tra le due donne Premier. Come è possibile un cambiamento così radicale di rotta? Un motivo è tattico e uno è strategico. Quello tattico è semplice: i laburisti con Jeremy Corbyn, fresco di riconferma alla leadership del partito, stanno andando sempre più a sinistra, lasciando libero il terreno di centro della politica. E c’è un grosso elettorato da intercettare, se si considera che al referendum, mentre solo il 5% dei deputati laburisti era in favore della Brexit, il 37% dell’elettorato si è espresso a favore. Questo spiega peraltro il tepore di Corbyn durante la campagna referendaria in favore del remain . I conservatori, spostandosi a sinistra dopo il consenso raccolto in politica estera, cercano ora di intercettare quelli in politica interna, cercando di apparire il partito dei lavoratori.
Il motivo inconfessato più importante è però strategico e riflette il fallimento delle politiche dei Tory e dello stesso New Labour che ne ha ricalcato le orme, negli ultimi 10 anni. Il liberismo sociale ha infatti nuociuto alle classi lavoratrici che si sono viste scavalcare da una mano d’opera europea più a buon mercato e più qualificata che ha spazzato i concorrenti inglesi sul mercato del lavoro interno. Non a caso, in questi giorni i conservatori continuano a parlare della necessità di privilegiare i lavoratori autoctoni rispetto agli immigrati. Il problema non viene però dalla UE ma dalle politiche dei Tory di tutti questi anni che, invece di riqualificare le classi lavoratrici con scuole professionali hanno preferito permettere l’ingresso a mano d’opera esterna. Al punto che ormai una buona parte dei dipendenti del servizio sanitario, dell’accademia, agricoltura e industria, per non parlare di finanza e alta tecnologia è oggi di estrazione europea.
Si diceva del New Labour: sotto Tony Blair e Gordon Brown non solo nessuno si è mai sognato di piegare l’immigrazione ma, pena la dissapprovazione degli elettori, si è mai sognato di fare intervenire lo Stato nelle vicende dell’economia e tantomeno del business. Da quando la May è arrivata, si parla sempre più della possibilità che lo Stato intervenga di fronte ad alcuni investimenti esteri considerati strategici, si allenta la rigida austerità dell’ex Cancelliere George Osborne, si vocifera di quote da porre sugli europei, si parla (finalmente) di qualificare sempre più medici e professionisti britannici per riempire i posti occupati dagli stranieri. Meglio tardi che mai per la qualificazione. Il fatto è che il mondo del business, che ha bisogno di mano d’opera adeguata subito, sta esprimendo crescente preoccupazione su questo andazzo che rischia di penalizzare fortemente un’economia che ha finora basato la propria forza sull’apertura al mondo.
Così il partito dei liberisti, del libero movimento dei capitali e delle persone, imitato ideologicamente nell’ultimo ventennio da tutti i partiti europei, di destra e di sinistra si è messo di nuovo a fare da lepre, questa volta correndo nella direzione opposta. Dopo avere propugnato per anni il liberismo, dopo avere chiesto l’apertura della UE ai Paesi dell’Est, dopo avere addirittura appoggiato un’entrata della Turchia, vuole ora sbarrare le porte, specie agli europei dell’Est innestando la marcia indietro e lasciando allibiti tutti. Dopo anni di apertura e scarsi investimenti sulla produttività e la qualificazione della propria mano d’opera la pressione dall’esterno ha costretto i Tory a gettare la loro ideologia alle ortiche e correre ai ripari dando tutte le colpe all’Europa.
Quello che fa più specie è che questo nuovo nazionalismo e populismo è cavalcato da colei che era fino a due mesi fa per il remain e che forse meno di qualsiasi altro ministro degli Interni, posto che ha mantenuto per oltre 6 anni, è riuscita a contenere l’immigrazione. Ma le ragioni della sopravvivenza politica e del potere vengono prima di quelle ideologiche. Queste si usano ex post per dare una veste intellettuale elegante al proprio operato. Comunque sia, a fare la figura peggiore sono i laburisti che dopo avere scimmiottato i Tory sotto Blair hanno pensato ora di rifugiarsi in un paleo-socialismo creando un ampio recinto di sostenitori autoreferenziale che riflettendo forse gli umori di un terzo dell’elettorato, non permetterà loro di diventare eleggibili. Così i Tory, gettando i loro principi al vento stanno diventando il partito per tutte le stagioni. Il partito della sopravvivenza è nelle mani della signora May.