Quale sarà il destino post-brexit di oltre un milione di Europei che abitano a Londra? L’Europa futura, delle nuove generazioni, quella sognata dai padri fondatori della UE, è da una decina d’anni una realtà nella capitale. Una comunità di giovani dinamici, pieni di spirito d’iniziativa e voglia di vivere, grandi lavoratori ma allo stesso tempo gaudenti, aperti, tolleranti e curiosi verso il prossimo. Da Londra ha tratto linfa, a Londra va moltiplicandosi con un centinaio di migliaia di arrivi all’anno e da Londra è stata trasformata in una comunità speciale, cosmopolita e mobile, integrata pienamente con i coetanei britannici, cui porta nuova linfa, idee e tradizioni, oltre a essere flessibile e pronta a prendere rischi e viaggiare ai quattro angoli del mondo.
Londra ha beneficiato enormemente dagli stranieri, europei in particolare, tra cui un quarto di milione di italiani. Non a caso lo ha detto chiaro e tondo al referendum, votando al 60% in favore della UE. Considerando che 4 comuni su 33 si sono espressi contro, negli altri 29 la media dei favorevoli è stata molto più alta, con punte vicine all’80% in comuni popolosi come Wandsworth, Hackney e Lambeth, ciascuno con una popolazione pari a Verona. Da notare che a votare non sono stati gli europei, che hanno diritto a eleggere il sindaco, ma i cittadini britannici, di ogni età e estrazione sociale. Non è peraltro un mistero che l’angolo del Paese in cui vi è più immigrazione è quello che la appoggia di più, dato che ne comprende i benefici effetti.
Sadiq Khan, sindaco di Londra eletto a maggio con 1,3 milioni di preferenze, comprese quelle degli europei residenti, non ha infatti esitato per un attimo a uscirsene con una dichiarazione di grande apertura agli europei londinesi, lodandone “il grande contributo alla nostra città come solidi lavoratori, contribuenti all’erario e parte integrante della nostra vita civile e culturale. Qui siete i benvenuti. Apprezziamo il grande apporto che date alla città e il risultato del referendum non cambierà il nostro atteggiamento”. La City, il mondo dell’accademia, dell’arte, della sanità, della ristorazione, della moda, per non parlare delle costruzioni, dipendono in modo enorme dal contributo europeo.
Tutto ciò da oggi è destinato a cambiare, anche se non si sa come, quando e quanto. Da oggi è iniziato un periodo di incertezza che rischia di durare a lungo, tenendo sospeso in un limbo il settore immobiliare e le decisioni delle imprese fino a che non si saranno chiariti quali saranno i futuri rapporti con la UE. Boris Johnson, uno dei leader del Brexit ed ex sindaco di Londra, oggi non particolarmente popolare presso i suoi passati elettori, ha cercato di calmare le acque dicendo che tutto va avanti come prima. Ma è un fatto che molte cose non saranno più le stesse. I dubbi sorgono su come la capitale potrà rapportarsi con il Continente. Quella che fino ad oggi è stata la capitale virtuale d’Europa rischia di diventare la piccola capitale di un Regno che già si annuncia disunito dopo la chiara minaccia di secessione della Scozia.
Londra non potrà fare secessione né autoproclamarsi città Stato. Non potrà diventare una Singapore o Montecarlo con leggi speciali, a meno di volere cambiare completamente la natura del Paese. Una città unica al mondo con una massa critica di professionisti (in buon parte europei) unica al mondo non può permettersi di perdere l’apporto essenziale di tante professionalità. Una grandissima parte della classe dirigente europea vive e lavora a Londra intrecciandosi alla classe dirigente inglese. “Districarla”, per usare un termine di Johnson a proposito del rapporto UK-UE, rischia di portare profonde ferite.
Londra è stato il più felice laboratorio di eccellenze europee in tutti i campi. Forse il suo dinamismo è stato la sua condanna agli occhi del resto di un Paese che nelle aree disagiate del Nord o nelle campagne vedeva sempre più la capitale come un’anomalia, una scheggia impazzita, un’enclave extraterritoriale. La storia sembra ripetersi. Fondata nel 43dc dagli stranieri Romani, venne messa a ferro e fuoco 20 anni dopo da Budicca, regina degli Iceni, che guidò un’alleanza delle tribù indigene del Paese. Su scala fortunatamente minore la storia si sta ripetendo. Il successo di Londra, e lo dico senza ironia, era diventato troppo sproporzionato al resto del Paese, causando squilibri che col senno di poi si sono rivelati insostenibili agli occhi degli inglesi dell’interno. Oggi si apre un nuovo capitolo. Confidiamo nel pragmatismo britannico, anche se abbiamo imparato a nostre spese a temerne gli imprevedibili colpi di testa.