Non è vero che alle elezioni politiche i laburisti hanno subito una disfatta su tutta la linea: Londra ha costituito un’importante eccezione. Nella capitale britannica il Labour ha infatti aumentato i propri seggi da 38 a 45, mentre i conservatori ne hanno perso uno, scendendo a 27. La vera rotta l’hanno subita i liberaldemocratici, che sono crollati da 7 seggi a 1, tutti passati ai laburisti. Con il 62% dei seggi in mano al Labour, Londra può essere considerata indubbiamente una città “rossa”, considerando che Ed Miliband ha fatto una campagna elettorale chiaramente di sinistra rispetto ai vecchi tempi del New Labour di Tony Blair. Una netta differenza tra il New Labour blairiano e il Labour di Miliband la si può infatti riscontrare proprio nell’atteggiamento verso i ricchi. Blair e il suo braccio destro Peter Mandelson hanno infatti ripetuto più volte di essere assolutamente rilassati nei confronti di chi fa soldi, mentre Miliband ha attaccato a più riprese gli eccessi della City e i banchieri, distinguendo tra quelli che definiva gli speculatori e coloro i quali producono ricchezza reale. Un tema caro alla vecchia sinistra.
E’ comunque un fatto che la capitale britannica si sta sempre più spaccando in due come una mela, o forse, meglio, c’è un piccolo spicchio di mela impazzito che sprigiona enorme ricchezza mentre esiste una legione di persone che vive con un salario minimo, vivendo di umili mansioni. A cui si aggiunge un esercito di immigrati che non vota e che lotta in fondo alla scala sociale, comprimendo i salari verso il basso.
La Londra degli ultraricchi dopo la vittoria dei Tory ha rialzato la testa, riprendendo alla grande, all‘indomani del responso delle urne, a ristrutturare case e a scavare piani interrati nel centro della città, lieta del pericolo scampato. Miliband aveva infatti messo al centro della propria campagna l’introduzione di una patrimoniale per le case al di sopra di 2 milioni di sterline di valore, oltre all’abolizione dello statuto di “residenti non domiciliati” che, in certe condizioni, permette agli stranieri residenti di ridurre il carico fiscale, pagando una tassa fissa di 90mila sterline annue sui guadagni all’estero. Una cifra enorme per la maggioranza della gente, ma una bazzecola per chi ha redditi nell’ordine dei milioni.
Per le classi medie, peraltro, la polarizzazione sta spingendo molti sempre più verso il fondo della società, minacciati dalla crescente automazione dei servizi, dove lavorano oltre due terzi della popolazione. Non sorprende dunque che un recente sondaggio della London School of Economics abbia evidenziato che il 62% degli inglesi è convinto che l’ineguaglianza sociale ha raggiunto livelli insostenibili, con il 74% che chiede che i ricchi paghino molte più tasse. Per Londra, dove convivono i più ricchi del Paese (e buona parte dei più ricchi del mondo) e i più poveri, in particolare giovani che non possono permettersi una prima casa neppure nelle zone più periferiche della città, la situazione non potrà che deteriorarsi.
Sotto la superficie cova infatti il risentimento. Ricordiamo i moti del 2011 che misero a ferro e fuoco la città con atti di vandalismo in seguito all’uccisione del giovane nero Mark Duggan da parte della polizia. Tra il 6 e l’11 agosto molti quartieri della capitale furono in preda a un’orgia di violenza, in particolare contro la proprietà, con attacchi e devastazioni di ristoranti anche in quartieri eleganti come Notting Hill. Londra non è una città invidiosa o classista, si badi bene, dato che è pervasa da un’energia positiva e i giovani hanno molte più opportunità che nel resto del Paese e senz’altro d’Europa. Ma l’ineguaglianza continua a lievitare e con essa cresce un disagio sociale che non promette nulla di buono.