Il sogno di ogni lavoratore dipendente di andare in vacanza quando e per quanto tempo esso desideri starebbe diventando realtà. Almeno, per chi è dipendente di Sir Richard Branson, il tycoon inglese proprietario del gruppo Virgin, con interessi che vanno dai trasporti aerei, a quelli ferroviari passando per la finanza e il tempo libero. L’annuncio lo ha dato lo stesso Branson, raffigurato in un’isoletta dei Caraibi con il proprio Smartphone in mano. Secondo Branson sta all’impiegato < decidere se vuole prendersi poche ore di pausa, piuttosto che un giorno, una settimana o un mese di vacanza > anche se (e qui sta l’ambiguità) < sia l’impiegato sia il team per cui lavora sono sicuri che i progetti a cui partecipano sono al 100% completati >. L’idea di Branson ha già iniziato a fare discutere, anche se non è originalissima, dal momento che società come Netflix da anni non tengono conto di quanto tempo libero si prenda un dipendente. Il dipendente più libero di scegliere sarebbe peraltro più responsabile di sé, meno frustrato e dunque più efficiente. Siamo alle soglie del paradiso del lavoratore dipendente? O siamo davanti a una delle tante trovate di Branson, che sugli annunci a effetto ha costruito la propria immagine?
E’ un fatto che in un mondo in cui si vive continuamente connessi e in cui i confini tra lavoro e tempo libero, proprio a causa dello smartphone, sono sempre più labili, il luogo di lavoro fisico conta sempre meno. Inoltre, specialmente ai livelli più elevati del mondo lavorativo, il raggiungimento degli obiettivi conta oggi assai più di quanto tempo si è stati in ufficio a scaldare il banco. In questi termini, la proposta di Branson non sembra portare granché di nuovo. Tanto è vero che Lucy Kellaway, giornalista del FT esperta di management dalla penna irriverente, ha scritto un commento con un titolo che gioca sulle parole, chiedendo a Branson di give us a break ossia darci un taglio (nel senso di non darla da bere) sul tema della vacanza che in inglese viene anche chiamata break. Secondo la giornalista infatti sarebbe virtualmente impossibile al giorno d’oggi andare in vacanza ed essere al 100% avanti con un progetto. Il lavoro del giorno d’oggi sarebbe infatti ormai un flusso continuo senza fine da cui è impossibile svincolarsi. La giornalista poi rileva come ci siano persone che non smetterebbero mai di lavorare perché gratificate e altre meno gratificate che non tornerebbero mai dalle vacanze. Oltre al fatto che, su scala più ampia, in Paesi come negli USA, le vacanze sono anatema mentre in Europa (Francia in testa) la visione è opposta. Ls Kellaway provoca poi Branson dicendo che sarebbe interessata a capire come la nuova idea potrebbe essere applicata a una hostess della Virgin che non può neppure decidere la tinta del proprio rossetto ed è incatenata ai turni di lavoro.
A mio avviso, al di là dell’ironia, questo è uno dei temi centrali del futuro della nostra società, proprio perché ormai vita lavorativa e tempo libero si stanno intrecciando sempre più, cambiando profondamente la vita a chi opera in posizioni di responsabilità. Siamo peraltro tutti schiavi degli email. Alcune aziende tedesche stanno sperimentando la possibilità che, quando il dipendente è in vacanza, può completamente dimenticarsi di consultare gli email. Ma poi questi inevitabilmente si accumuleranno. A meno che i membri del team possano avere accesso per smaltirli. Ma a che punto allora comincerebbe l’intrusione nella sfera privata di un collega?
Il fatto è che la proposta/boutade di Branson giunge in un momento in cui nessuno riesce più a “staccare” né a distinguere tra lavoro e tempo libero. Recentemente girava una vignetta che raffigura una persona davanti a un computer sempre con la stessa espressione mentre lavora, programma le vacanze, ordina la spesa, guarda un film, interagisce su un social network e parla agli amici su Skype. Al lettore indovinare quando fa uno o l’altro. Vacanza, quale vacanza?