Non è ormai un mistero che Uber, l’applicazione internet che semplifica la vita agli utenti nella ricerca di un taxi, dicendo loro quale è il più raggiungibile nei dintorni , ha complicato dannatamente la vita ai tassisti tradizionali. La prova è che persino a Londra, patria del libero mercato e del laissez faire, ci troviamo di fronte a vere e proprie sommosse dei black cabbies, i tassisti dei famosi taxi neri. L’ultima manifestazione d’insofferenza è avvenuta oggi: oltre mille tassisti hanno manifestato la loro rabbia sfilando in centro e paralizzando il traffico. La manifestazione ne segue un’altra l’11 giugno scorso. Ed è l’ultima di una lunga serie che ha coinvolto molte altre città europee, come Berlino, Madrid, Parigi e Milano. In Germania peraltro un tribunale è riuscito addirittura a bloccare l’attività di Uber all’inizio del mese ma ha poi dovuto togliere il divieto.
Il risultato ieri pare sia stato un aumento dell’850% delle richieste di taxi da parte dei membri registrati di Uber. Uber, che ha ormai altri emuli come Hailo e Kabbee ormai opera in 45 Paesi e mi pare una di quelle valanghe travolgenti destinate a cambiare la faccia a un consolidato settore dell’economia quale quello delle auto pubbliche. Per tirare fuori dagli stracci i flemmatici cabbies londinesi e spingerli a manifestare significa che Uber sta veramente rendendo loro la vita difficile. Quando ci fu l’invasione dei mini cab non regolamentati che portavano a spasso la gente su auto spesso non assicurate e con autisti improvvisati a metà del prezzo dei tassisti tradizionali, la rabbia non aveva raggiunto livelli così alti. Anche perchè i mini-cab vennero alla fine regolamentati e messi entro gli argini di una concorrenza sostenibile.
Ora il rischio per i 20 mila tassisti di Londra escano di scena sarebbe devastante. Leggendari per la loro competenza, dato che devono dare un esame che implica almeno due anni di studi teorici e di peregrinazioni per le vie della capitale, e minacciati da navigatori elettronici sempre più precisi, ora i cabbies si sentono messi all’angolo da un’altra diavoleria di internet. Un’applicazione che si sostituisce al tassametro tradizionale e tiene i prezzi ai minimi livelli dato che riesce a ottimizzare le corse. Il fatto è che, come è capitato ad altre società globali cresciute su internet esse diventano poi difficilmente classificabili sul piano fiscale. In altre parole i tassisti inglesi sostengono che l’agilità dei concorrenti è anche dovuta al fatto che sarebbero disinvolti in materia di norme che i taxi convenzionati devono osservare.
Forse la risposta sta in una sorta di convergenza tra piattaforme elettroniche e metodi tradizionali. Uber ha infatti ribattuto alle critiche dicendo che dispone di un’applicazione fatta per i taxi tradizionali e che è nel loro interesse cogliere l’occasione. Secondo i promotori, peraltro, “centinaia” di black cabbies avrebbero sottoscritto e le adesioni sarebbero in aumento. Non resta che seguire gli sviluppi di questa battaglia tra old e new economy