Pagherò è la parola magica scritta sulle cambiali. E pagherò sta diventando la parola d’ordine dei Governi occidentali, specie quello americano e britannico. Una profonda crisi, creata da un eccesso di debito privato, è ora oggetto di robuste manovre di salvataggio che faranno lievitare il debito pubblico. Debiti per ripianare altri debiti. Una manovra necessaria per evitare che l’attuale recessione si trasformi in depressione. Ma si tratta di una politica che avrà un costo altissimo.
Prendiamo il caso della Gran Bretagna. La manovra annunciata giorni fa dal Governo, porterà nel giro di due anni il debito pubblico dal 43% al 60% del pil e il deficit rispetto al pil dal 3,4% all’8%. Ciò come conseguenza di tagli alle tasse e aumento alle spese per incoraggiare gli inglesi a consumare. Non è finita: da giorni il Governo chiede perentoriamente che le banche, che sono state oggetto di un piano di salvataggio da 250 miliardi di sterline, prestino a individui e imprese, pena una velata minaccia di nazionalizzazione. Le banche, che hanno prestato in modo allegro e irresponsabile e ora stanno attente a dare soldi, specie in una fase di recessione, quando i creditori diventano più inaffidabili, ricevono l’ingiunzione dai politici di tornare a prestare agli stessi squattrinati di prima per sostenere la domanda e con essa l’economia. E’ vero che tra elargire danaro all’impazzata e non prestare del tutto c’è una bella differenza. In particolare, hanno bisogno di soldi le piccole e medie imprese, che sono la spina dorsale dell’economia e non possono trovarsi di fronte a condizioni troppo punitive. Ma imporre alle banche una strategia nell’interesse del Paese e contro il loro interesse può essere rischioso. Prendiamo ora gli Usa, dove il recente pacchetto a 800 miliardi di dollari servirà per 600 miliardi a sostenere chi ha contratto mutui e a erogarne di nuovi e per 200 miliardi a sostenere l’acquisto di auto e a sostenere le carte di credito. Ecco soldi pubblici a pioggia concessi alle stesse persone che prima corteggiavano le banche. Da notare che gli Usa, nell’anno fiscale terminato a marzo, hanno raddoppiato il deficit pubblico a 450 miliardi di dollari al 3,1% del pil e si avviano quest’anno a superare i 1.000 miliardi, pari al 7%, mentre il debito pubblico è già al 68% del pil, pari a 11mila miliardi di dollari. Secondo alcuni la cifra sarà superiore. Inoltre, Obama sta preparando a propria volta un pacchetto di stimoli compreso tra 500 e 700 miliardi di dollari che dovrà entrare a propria volta in linea di conto il prossimo anno. Non contento, il morente Governo Bush sta discutendo con le tre grandi case automobilistiche la possibilità di un piano di salvataggio come quello bancario per evitare che vengano persi 3 milioni di posti di lavoro. Altro danaro pubblico rischia di essere impegnato. Ciò che fa riflettere è che un modello di sviluppo basato sul debito e lo scempio ambientale che ci ha portato a una profonda crisi non viene messo in dubbio ma viene sostenuto con altri fondi in una coazione a ripetere. Con la prospettiva che il futuro boom di Paesi come India e Cina rendano tutto ancora più difficile. Dato che ormai un intervento del Governo c’è ed è pesante non converrebbe fare politica industriale condizionando ad esempio gli aiuti all’auto in investimenti in vetture non inquinanti o la creazione di un fondo pubblico che investa in nuove tecnologie ambientali che potrebbero divenire il nerbo dell’industria futura? Finora tutto è dettato dall’emergenza e le manovre in atto, se non inevitabili, sono comprensibili. Ma la crisi dovrebbe essere volta in opportunità per modificare un modello di sviluppo che ha bisogno di profonde riparazioni.