Negli ultimi cinquant'anni abbiamo assistito a una privatizzazione crescente della guerra: dai tempi della leva obbligatoria di ispirazione napoleonica, si è tornati agli eserciti professionali reclutati su base volontaria, fino ad arrivare alle milizie private. Queste ultime sono andate lievitando come palloni (una nuova bolla?) da quando i Governi hanno deciso sempre più di appaltare a terzi numerose mansioni per ridurre i costi delle forze armate in zone operative. Risultato: se ai tempi della Prima Guerra Mondiale i "private contractors", come sono chiamati tra gli anglosassoni, pesavano per il 4% dei 2,1 milioni di americani in zona di guerra, oggi in Iraq e Afghanistan pesano per il 49% e 57% rispettivamente dei 274mila e 120.500 delle forze americane presenti nei due Paesi. In altre parole, i "mercenari" per la prima volta, hanno superato il personale delle forze armate in zona operativa. E il fenomeno non è solo americano.
L'idea alla base della "privatizzazione" della guerra è quella di permettere di risparmiare il più possibile alle forze armate, lasciandole concentrare sull'arte del combattimento. I mercenari lavorano nelle cucine, scortano persone importanti, fanno la guardia a obiettivi secondari, riparano autoveicoli e…aiutano negli interrogatori. Se vi capita di passare all'aeroporto di Dubai al terminal 2 diretti per Kabul o Baghdad vedrete sale d'attesa traboccanti di personaggi iperpalestrati con borse sportive e occhiali da sole che vanno e vengono dalle due capitali. Non deve stupire, dato che in totale, tra i due Paesi, i professionisti della difesa sono 180mila. Armati fino ai denti, non soggetti alla legge Usa o a quella dei Paesi "ospiti", per quanto professionisti nel loro settore, essi non sono stati sottoposti al rigido allenamento dei soldati, né i loro superiori si trovano confrontati con i rigidi criteri etici o i rischi dei tribunali militari degli ufficiali dell'esercito. In Gran Bretagna il gruppo War on Want sta insistendo perchè questo settore, in continua crescita, venga regolamentato. Spesso sono stati coinvolti in incidenti con le forze armate, con spiacevoli cause penali e civili: inevitabile, peraltro, che tra i due schieramenti ci sia una rivalità sottesa, volta a provare chi abbia più testosterone. I nostri Rambo provengono dai background più disparati (compresi ex-militari) e non hanno omogeneità di comportamenti. Le diverse società che li impiegano, come ogni azienda, sono più o meno qualificate.C'è poi l'aspetto business puro dei contractor: un rambo mercenario guadagna mediamente 108mila dollari all'anno rispetto alla media di 63mila di un civile o dei 69mila di un militare in zona di guerra. Costi che salgono al doppio per i committenti considerando le assicurazioni i contributi e altre amenità. La sola Gran Bretagna ha pagato in tre anni 142 milioni di sterline (170milioni di euro) in contractor in Afghanistan e Iraq e quest'anno solo in Afghanistan siamo a quota 42 milioni. Molti iniziano a questionare seriamente i risparmi che l'utilizzo delle milizie private, moltiplicato durante l'era Bush, possono portare alle casse dello Stato. Negli Usa il Dipartimento del Lavoro si vede costretto a fare fronte a un costo delle assicurazioni dei contractor in piena lievitazione, con premi passati da 18 milioni nel 2002 a 400 milioni nell'anno in corso. I mercenari, d'altronde, hanno pagato un prezzo elevato in termini di "incidenti sul lavoro", a cui va aggiunta una perdita di vite umane stimata in 1.600 tra Iraq e Afghanistan. Insomma, gli eserciti dei tempi moderni, assommando soldati professionali pagati dallo Stato e professionisti del mitra al soldo di contractors operanti nella difesa che fanno enormi guadagni, rischiano di diventare sempre più un'orchestra cacofonica e costosa che fatica a fare fronte a insorti compatti e motivati col morale alto e i costi inevitabilmente tenuti all'osso.