Per l'Occidente, in tempi grami come questi, e' assolutamente necessario trovare una forma di consolazione psicologica. Davanti al progresso inarrestabile di Paesi emergenti come Cina, India e Brasile, che ogni anno divorano pezzi delle nostre industrie, dobbiamo porci domande che vanno al di là delle aride statistiche che provano implacabili il nostro declino. Se la Cina e' così forte nella crescita economica in termini quantitativi, tanto da permettere al Paese di scavalcare nazioni come Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania, altrettanto non si può dire degli aspetti qualitativi. Il divario tra il tenore di vita di un cinese e quello di un italiano o un francese è ancora enorme e assai probabilmente non verrà colmato nella presente generazione. Ancor peggio si può dire dell'India. Insomma, se ė vero che crescono rapidissimi, trascinando centinaia di milioni di miserabili nel cono di un benessere materiale mai sperimentato prima, i grandi Paesi emergenti hanno ancora molta strada da fare. Rischiano inoltre di pagare alto il prezzo di questo sviluppo in termini di inquinamento e stress legato al superlavoro. Un poco come nella fiaba della Volpe e l'Uva gli occidentali, che non possono più sfidare gli orientali sul piano quantitativo, sostengono che, in fondo, quello che conta ė essere felici. Il premier britannico David Cameron si è fatto campione di questo concetto, mettendosi alla guida di un'iniziativa che vuole misurare la felicità di una nazione. L'economia, insomma, non deve solo generare "wealth", ma anche e specialmente "happiness".
Cameron ha grandi doti di uomo di relazioni pubbliche, è un ottimo oratore e ha inventato la formula della Big Society. Secondo il premier la società britannica è infatti "broken", rotta, a causa di un edonismo individualista che ha ridotto fortemente l'empatia e solidarietà del singolo verso il prossimo. D'altra parte sotto i laburisti la sfera delle coscienze individuali è stata delegata a uno Stato elefantiaco dilagato ovunque a spese del contribuente in mille iniziative di sostegno sociale. I due fenomeni messi assieme hanno avuto un effetto dirompente. Notare che l'idea, di gran buon senso e condivisibile da qualsiasi Paese socialdemocratico del Nord Europa o cattolico del Sud, in Gran Bretagna è innovativa perché è un nuovo tentativo di trovare una soluzione alle legioni che vivono dei contributi di disoccupazione e sono disconnesse sempre più dalla società produttiva. La formula di Cameron è attraente quanto vaga. Assume però un significato più malizioso se pensiamo che la Gran Bretagna, alle prese con un deficit pubblico fuori controllo, deve trovare una via d'uscita non economica ai propri problemi sociali, ossia tenendo ben chiusi i cordoni del portafoglio. In questo Cameron ha colpito nel segno: lo Stato non può più spendere per cui si aprano le porte alla Big Society fatta di buone intenzioni e nessun costo. L'economia della felicità pare essere ora l'altra faccia della medaglia. Dato che i soldi pubblici sono finiti e dato che le economie occidentali non crescono più come una volta possiamo accontentarci riflettendo su ciò che è realmente benessere. Possiamo misurare questa felicità con tanto di statistiche e tabelle? Questa la sfida lanciata da Cameron. Secondo gli statistici ci sono gli elementi per farlo, ma l'impresa non è facile, dato che bisognerebbe elaborare modelli numerici condivisi da tutti. Il percorso è insomma lungo. A dire la verità non è neppure nuovo. Non solo già 50 anni fa il senatore Bob Kennedy diceva che il Pil "misura tutto tranne che la felicità di una nazione". Duecento anni prima un grande economista/filosofo inglese, Jeremy Bentham, aveva chiaramente enunciato che l'obiettivo di ogni economia deve essere di accrescere il livello di felicità di una nazione. Il tema è stato peraltro ripreso nel 2005 da un noto economista vicino al New Labour, Richard Layard, nel saggio Happiness (Allen Lane). Il saggio di Layard era giunto forse in un momento più opportuno e meno sospetto di oggi, dato che l'economista poneva l'interrogativo all'apice dell'edonismo blairiano, quando la City erogava bonus stratosferici e i ricchi di tutto il mondo si davano convegno a Londra per abbandonarsi alle più incredibili stravaganze che il danaro poteva concedere. In parole semplici Layard metteva in guardia dal fatto che il danaro non è tutto e vi sono molti fattori che concorrono a garantire una buona qualità della vita. Allora l'avvertimento era una saggia constatazione: oggi, detta da Cameron pare piuttosto una consolazione….