Ogni Paese ha i politici e, potremmo aggiungere, il giornalisti che si merita. Come la politica, il giornalismo dipende da tradizioni storiche, solidità delle istituzioni, equilibri di potere tra gruppi di interesse, forza delle lobby economiche, livello di cultura generale della popolazione e equilibrio tra qualità di offerta delle organizzazioni mediatiche e esigenza della domanda dei fruitori dell'informazione. Risultato: se in Gran Bretagna da un paio di secoli il giornalismo si distingue come cane da guardia dell'interesse pubblico, in Italia tende a rappresentare gli interessi di gruppi di potere, politici o economici, di cui amplifica i messaggi. In Gran Bretagna è uno strumento di contropotere generale a servizio del pubblico, mentre in Italia è sostanzialmente uno strumento di propaganda, una sorta di esercito "privato" in dotazione al Signore di turno. In Gran Bretagna non guarda in faccia a nessuno, mentre in Italia attacca essenzialmente il nemico del fronte opposto. In Gran Bretagna il giornalismo investigativo fiorisce e mette i risultati di un'inchiesta a servizio del pubblico, quali che siano le conseguenze su gruppi di potere, aziende e istituzioni, mentre in Italia questo tipo di giornalismo è gracilissimo, dato che si lasciano fare le inchieste alla magistratura e poi si interpretano, sostengono o osteggiano a seconda della fazione di cui si fa parte.
In Gran Bretagna informare è un business che si trasforma in copie vendute, mentre in Italia l'esito è scontato in partenza e i lettori di una determinata testata sono una sorta di tifoseria legata a una squadra ideologica. Una somma di riserve indiane in cui ognuno fa riferimento alla propria tribù. Il che avviene in politica e spiega, in particolare, perchè il centrosinistra italiano fatichi a raccogliere consensi al centro senza mai sfondare come avvenne con il New Labour in Gran Bretagna. Comunque sia, nei media, in Gran Bretagna, più si è aggressivi e imparziali, ossia più si disturba il manovratore, e più si fa carriera, mentre in Italia più si è faziosi e vicini al Signore, economico o politico che sia e più aumentano retribuzioni, prebende e cariche.
Buona parte di queste riflessioni sono state riprese lunedì scorso all' Italian Cultural Institute di Londra in un convegno dal titolo Watchdog and Lapdog? A comparison between british and Italian journalism. Organizzato da Caterina Cardona, nuovo vulcanico direttore dell'Istituto, che sta sfornando a raffica eventi di grande interesse, l'incontro aveva un panel d'eccezione. C'erano Bill Emmott, storico direttore di The Economist dal 1993 al 2006 e autore, con Annalisa Piras, del documentario Girlfriend in a Coma sui mali dell'Italia, c'era John Lloyd, giornalista del Financial Times esperto di media e direttore del programma di giornalismo del Reuters Institute di Oxford e Ferdinando Giugliano, giovane e promettente editorialista del Financial Times. Anche chi umilmente scrive era sul palco, richiesto forse più in veste di veterano testimone del giornalismo dei due Paesi che di esperto di media. Lo spunto del dibattito veniva da Eserciti di Carta, come si fa informazione in Italia (Feltrinelli, 2013) un libro molto stimolante scritto da Lloyd e Giugliano. Un libro speciale, perchè i due, forti di una buona conoscenza di Italia e Gran Bretagna, per due anni hanno battuto lo stivale intervistando tutti i protagonisti più rilevanti del giornalismo italiano, cartaceo e televisivo, cercando di coglierne la psicologia e le motivazioni.
La principale conclusione a cui sono giunti è che, poichè in un modo o nell'altro il giornalismo italiano è lottizzato, ai protagonisti non spiace per nulla fare parte di una classe di professionisti militanti che diventa protagonista essa stessa rispetto alla notizia. I conduttori dei programmi TV degli ultimi anni ne sono un esempio. La visibilità porta inoltre fama e – perchè no? – consente l'eventuale incursione in politica, permettendo al preclaro giornalista di farsi eleggere e avviare una nuova carriera. Senza escludere successivamente un rientro in redazione con un medagliere ancor più ricco e pesante. Il che, in fondo, è motivo di vanto per chi all'informazione imparziale non ha mai creduto.
Ma è proprio soltanto così? I nostri amici inglesi Bill e John hanno guardato anche in casa propria rilevando limiti e incongruenze del giornalismo Made in Britain. I tabloid tanto aggressivi spesso si inventano le notizie, corrompono la polizia per avere informazioni ,come è emerso dagli scandali in casa Murdoch, interferiscono in modo intollerabile nella vita privata di molti cittadini. I giornali seri (broadsheet) riferiscono dei fatti in modo imparziale ma hanno un'agenda ideologica: sarà impossibile trovare un articolo equanime sull'Europa nel Daily Telegraph. La Tv non fa editoriali ma solo dà notizie, fa inchiesta e al massimo può dare spazio a uno specialista per un'analisi. Giornalisti famosi come Boris Johnson hanno fatto leva sulla notorietà per entrare alla grande in politica esattamente come si fa in Italia. La BBC, nella sua ricerca di imparzialità resta ancora molto stimata dai cittadini, ma ha registrato recentemente alcune cadute di qualità (come l'ingiusta accusa di pedofilia a Lord MacAlpine per una serie di superficialità e mancanze di controlli della notizia) per rincorrere testate rivali. Tutto sommato, comunque, la regola di tenere separate le notizie -che devono essere date a ogni costo e devono essere più accurate possibile – dai commenti resta una formula salutare in tutto il giornalismo britannico scritto e filmato.
Ma ha senso discutere di tutto ciò in un mondo in cui internet dilaga come un'orda di Tartari, sciogliendo come neve al sole gli utili delle aziende editoriali, in cui i Blog spuntano come funghi, dove ognuno diventa giornalista usando il proprio telefonino armato di telecamera e dove i giovani si approvvigionano di informazioni in mille modi e da mille fonti, costruendosi prodotti DIY e voltando le spalle ai confezionamenti gerarchici dei gruppi editoriali? Le redazioni dei giornali subiscono la mannaia degli amministratori che devono tagliare i costi e finiscono per strada. Le TV restano uno strumento moderno, dato che il mezzo si adatta perfettamente all'era internet, ma i costi lievitano. I giornali si salvano migrando sul web ma il costo economico è elevatissimo, dato che aumentano i lettori in modo esponenziale, come capita a The Guardian, ma per fare ciò aumentano le perdite. Sono problemi condivisi sia da media inglesi che italiani. Su questo fronte si può parlare di convergenza al peggio.
In questo panorama, sbuca Beppe Grillo che, dribblando abilmente tra giornali e TV, è riuscito a provare al mondo con un blog di grande successo come la rete possa diventare un temibile strumento di potere. Già… di potere. Grillo ha impastato politica e giornalismo al servizio di una protesta condotta con le armi della satira che ha avuto effetti dirompenti. A giudicare da come gli vanno le cose oggi si trova però costretto a rivedere il proprio modello. Quello che è certo però è che, per quanto affascinante, il suo Blog non è un modello di buon giornalismo da seguire per informare imparzialmente.