Negli ultimi vent'anni Londra è stata per tantissimi italiani l'America dietro casa. A misura che aumentava la frustrazione di vivere in un Paese sempre più ingessato, senza meritocrazia, ripetitivo, incapace di incanalare il desiderio di affermarsi dei nostri giovani, Londra ha costituito una valvola di sfogo straordinaria, che ha permesso a decine di migliaia di persone di emanciparsi professionalmente, aprirsi al mondo, ossigenare il cervello, esprimere il proprio spirito di iniziativa, evitando di restare a marcire ai margini del mondo del lavoro italiano. Londra è stata il massimo magnete per i nostri connazionali, tanto che la popolazione italiana della capitale britannica negli ultimi 25 anni è più che raddoppiata, passando da meno di 100 mila a oltre 200 mila persone. La capitale peraltro è spesso citata in modo simbolico, dato che i nostri connazionali si sono sparpagliati in molte parti dell'isola, raggiungendo un totale di circa 500mila persone residenti, più o meno in pianta stabile, secondo stime attendibili delle nostre autorità consolari. Londra insomma rappresenta circa la metà del totale dei residenti italiani sull'isola.
Gli italiani hanno un buon livello di educazione, chi ha studiato nei licei o nelle Università italiane ha una buona preparazione e nella massima parte dei casi è riuscito a ottenere dei posti di lavoro soddisfacenti. Anche in settori meno accademici, lo spirito di sacrificio, l'intraprendenza, l'abitudine all'osservazione del dettaglio e l'abitudine alle cose belle della vita ha permesso agli italiani di crescere rapidamente rispetto a molti altri migranti, ottenendo in tempi rapidi posizioni che a casa propria avrebbero raggiunto in anni di lavoro. Londra in particolare e la Gran Bretagna in generale hanno fatto da levatrici a tanti italiani che oggi, oltre ad avere una buona professione, sono diventati cittadini del mondo e non hanno paura a mettersi alla prova in altri Paesi, nuotando agilmente in mare aperto.
In queste ultime ore dell'anno che va a spegnersi vorrei lanciare però un avvertimento a chi continua a giungere a ondate a Londra e in Gran Bretagna, attratto dalle luminarie del successo o dall'idea che peggio che a casa propria le cose non possono andare. Il messaggio è che la musica sta cambiando. Per quanto la capitale britannica mantenga un ritmo di crescita molto più alto del resto del Paese, per quanto possa offrire una gamma di opportunità di lavoro molto più ampia di qualsiasi altra città europea, per quanto premi l'imprenditorialità semplificando la vita e moltiplicando le opportunità a chi voglia intraprendere e si sappia adattare, Londra sta diventando un posto sempre più difficile da vivere. La competizione sul mercato del lavoro si fa aspra. Nella fascia bassa c'è la concorrenza di europei orientali e di alcuni paesi emergenti che accettano lavori a paghe decrescenti a fronte di una buona qualificazione professionale. In alto, il mondo della finanza o degli studi legali non assorbe più come una volta né (fortunatamente) offre le carriere brucianti degli anni della bolla. L'accademia e i lavori ad essi legati, che siano intellettuali o di carattere clinico scientifico, iniziano a saturarsi. Sempre più mi capita di sentire giovani che ripiegano su Università inglesi minori, che offrono un servizio peggiore che in Italia pur di poter affermare di essere andati in Gran Bretagna. In settori come architettura, design, media, mercato dell'arte, video e software comunicazioni e media la recessione ha ridotto fortemente le opportunità e la vita diventa sempre più competitiva.
A fronte di un irrigidimento delle condizioni del mercato britannico e di un crescente atteggiamento anti-immigrazione da parte degli inglesi, che da qualche tempo iniziano a lamentarsi anche dei cugini europei, chiedendo misure restrittive per i nuovi immigranti, ci troviamo da parte italiana davanti a un arrembaggio a testa bassa di un crescente numero di disperati in cerca di lavoro e affermazione. Non più solo giovani ma anche persone di mezza età, gente che ha chiuso un'attività in Italia e tenta di aprirne una nuova con i risparmi che ha salvato, gente di classe media e medio-alta che migra con tutta la famiglia. Gente con scarse qualificazioni che spera di farcela grazie alla elasticità del mercato del lavoro inglese, alla scarsa burocrazia e alla semplicità del sistema legale. A costoro faccio i migliori Auguri di Buon Anno, ma ricordo che rischiano di rimanere delusi se si muovono troppo alla garibaldina. Devono cercare di informarsi al meglio prima di muoversi. Se prendiamo come esempio la ristorazione, da quanto mi risulta parlando con operatori del settore, non è più facile come una volta venire e mettere su un ristorante o un servizio ad esso collegato o perfino trovare un posto da cameriere o assistente di cucina. La clientela si è fatta molto più esigente, i costi di affitto sono altissimi, l'offerta è sempre più sofisticata e copre ogni angolo e nicchia e la concorrenza è globale, nel senso che, chi esce a cena nella capitale, ha davanti a sè un'infinita scelta di ristorazione multi culturale di ottima qualità e offrire cucina italiana non basta più come discriminante. Bisogna offrire una buona, ottima cucina o comunque con un rapporto prezzo qualità o con un'originalità dell'offerta che stimoli la curiosità della clientela. E poi per chi vuole mettersi in proprio ci vogliono molti più capitali di una volta.
Londra città- mondo sta insomma svelando sempre più gli angoli aguzzi di un ambiente globale dove tutti competono come in un grande rodeo. Una gara che crea sempre più vittime oltre che vincitori. Un posto che diventa selettivo perché può permettersi di chiudere la porta ai dilettanti. Una volta bastava avere voglia di lavorare e possedere un piccolo vantaggio competitivo per emergere e affermarsi in Gran Bretagna. Oggi tutto è più difficile. Per tale motivo, in questo momento durissimo per l'economia italiana, che incita tanti a una fuga disordinata come in un effetto gregge, invito a due riflessioni 1) Londra non è un canotto di salvataggio che tutti imbarca. La barca si sta riempiendo e molti purtroppo dovranno continuare a nuotare prima di trovare un soccorso adeguato. 2) L'Italia non è così un disastro come molti dipingono. E' un Paese pieno di talenti e qualità umane, professionalità, iniziative e inventiva che, messe a frutto possono pernettere un rilancio. Conclusione: chiunque voglia emigrare va sempre ammirato perché mostra spirito di iniziativa e coraggio. Prima di compiere il passo è però importante ragionare: se si sa da cosa si vuole fuggire, bisogna sapere anche minimamente dove e come si vuole arrivare. E, in questo caso, mi sento in dovere di dire che Londra non è più quella di prima. Più in generale, credo che stiamo raggiungendo un punto critico di scelta per gli italiani che abbandonano il Paese perché colti da un pessimismo cosmico. Dato che il Paese non si può svuotare, bisogna iniziare a pensare seriamente di riparare quello che non va in casa propria, prendendo di petto i tanti problemi che sono stati lasciati marcire per anni. A partire da un ripensamento profondo di quegli atteggiamenti di vita che ci portano alla rovina come corruzione, burocrazia, favoritismo, rissosità e paralisi decisionale. Sono d'altronde convinto che tanti Italiani che hanno lasciato il Paese, davanti ai primi seri segnali di cambiamento, saranno desiderosi a dare un contributo. Forse è un'utopia, ma ciò che è certo è che scappare tutti a Londra non è una soluzione percorribile…