La grande sceneggiata del pifferaio Boris

Fino a non molto prima delle dimissioni di giovedi, rese obbligatorie dallo smottamento di gran parte del suo Governo, Boris Johnson pareva, malgrado le crescenti ammaccature, invulnerabile. Il biondo, eccentrico e comico premier britannico era riuscito a provare al mondo che nella vita si puo’ arrivare ai massimi livelli di potere e fama non necessariamente in virtu’ di competenza, duro lavoro, idee originali, disciplina, rispetto dato e ricevuto, virtu’ organizzative e controllo della macchina del partito, ma semplicemente grazie al giusto atteggiamento nella vita. Boris ha scritto un capitolo finora mancante nei manuali di scienza politica, provando che si puo’ governare operando come in una sceneggiata, allo stesso modo in cui ha operato in altri campi in cui ha avuto successo, senza mai subire una battuta d’arresto. Ora che è giunta la resa dei conti e che la struttura di cartapesta del suo teatro è collassata vale la pena di fare alcune riflessioni.

Johnson ha avuto successo come giornalista, comico e politico. E prima ancora come studente: gli insegnanti al liceo esclusivo di Eton ricordavano che si riteneva superiore alle regole, che riusciva ad aggirare mettendola sul ridere con gran delizia dei suoi compagni. Popolarissimo fu anche a Oxford, dove studio’ con successo lettere classiche e divenne, nel 1986, presidente della Oxford Union, l’organizzazione studentesca che allestisce dibattiti politici con gente famosa e da cui sono passati numerosi primi ministri britannici.  Come giornalista, malgrado si sia inventato di sana pianta molte storie, fino a costargli il licenziamento da The Times a fine degli anni ’80, ha poi inanellato un successo dietro l’altro come corrispondente da Bruxelles di The Daily Telegraph, bibbia dei conservatori, inventandosi storie  anti-UE di ogni genere. Una per tutte quella sulle presunte direttive agricole per raddrizzare le banane e i cetrioli. Carezzava per il giusto verso quel senso di sufficienza e superiorità dei conservatori nei confronti degli  europei, visti come grevi, goffi, socialisteggianti e burocratici. Articoli che ne hanno fatto un beniamino dei lettori conservatori, fino a diventare, poco piu’ che trentenne, un apprezzato editorialista del maggiore quotidiano britannico e, successivamente, direttore del settimanale ultraconservatore The Spectator. Erano gli anni ’90, in cui lo frequentavo come collega e lo ammiravo divertito per la sua verve e la penna irriverente che lo aveva reso famoso, fino a farne un ospite e, per un breve periodo, il conduttore, di un noto talk show televisivo comico: Have I got news for you.  Arguto, intelligente, fulmineo nelle battute, era diventato un personaggio, usando lo strumento del giornale per propria edificazione.

Il suo pallino restava la politica. Ricordo una lunga discussione un giorno a pranzo  a fine anni ’90 in cui gli chiedevo perché non intraprendesse una carriera di commediante o letterato irriverente ed eccentrico, come ne esistono molti nel Regno Unito, ma mi rintuzzava dicendosi convinto di avere un grande futuro in politica. In politica poi entro’, eletto nel solido collegio di Henley, fino a diventare sottosegretario del governo-ombra conservatore di opposizione di Michael Howard, da cui fu cacciato nel 2004 per avere messo incinta una collega dello Spectator, Petronella Wyatt. La collega lo accusava e lui, sposato con 4 figli (con la paziente Marina Wheeler, conosciuta ai tempi di Bruxelles), dopo avere negato, dicendo di essere oggetto di “una grande piramide invertita di balle” dovette arrendersi all’evidenza e uscire di scena. . La sua fama, nel bene e nel male, continuava pero’ a crescere negli anni in cui lievitava il fenomeno delle celebrities e, come personaggio eccentrico e popolare, si rivelo’ essere l’arma segreta e il candidato conservatore ideale a sindaco di Londra  in opposizione a un altro personaggio, un eccentrico della sinistra laburista: l’uscente sindaco Ken Livingstone.

Paese centralizzato, il Regno Unito sotto Blair aveva ottenuto maggiore autonomia sia con le tre assemblee nazionali (Galles, Scozia e Nord Irlanda) sia a Londra e la sua area metropolitana. Ai tempi, i politici “seri” non davano peso all’istituto del sindaco, considerato un ruolo di secondo piano come per i politici locali e non a caso candidavano personaggi considerati buffi o marginali. Mai giudizio fu piu’ errato, dato che, per Boris, Londra divenne il trampolino di un grande successo. Abile istrione e comunicatore, ebbe l’abilità di nominare collaboratori competenti ai posti giusti, riservando per sè gli aspetti spettacolari. La sua simpatia era riuscita ad attrarre voti al centro e alla sinistra in una città fondamentalmente di centro-sinistra. Fu per lui un test fondamentale, quello di diventare un piacione per tutte le stagioni,  che si vendeva come ecologista in bicicletta, difensore delle diversità e del cosmopolitismo, pur rimanendo, nei vezzi e nell’atteggiamento, un conservatore, in cui tanti della base del partito si riconoscevano. Il boom di Londra di inizio anni 2000 gli permise peraltro di volare sempre piu’ in alto, a cavallo di una corrente ascensionale che ebbe come apice le Olimpiadi del 2012 e, comunque, una potente spinta dalla finanza mondiale ed europea, anche dopo lo scoppio della bolla nel 2008.

Dato il personaggio esagerato, vi furono inevitabili sprechi, come i costosissimi Boris Bus ecologici  o i camion idranti anti-manifestazioni che non funzionavano e vennero rivenduti sottocosto. Per fortuna non passo’ il progetto del ponte giardino né dell’aeroporto alla foce del Tamigi sulla Boris Island. Erano anni di boom per Londra e queste impennate di “generosità” col danaro pubblico, erano viste con bonomia invece di essere prese come un segnale preoccupante della sua megalomania, come pure un segno di corruzione la promozione di collaboratrici con cui aveva rapporti chiacchierati. Boris, nelle declinazioni della Boris Bike, il Boris Bus, il Boris Bridge e la Boris Island era un grande intrattenitore, un personaggio quasi da fumetto come Batman con la Bat mobile e tutti i Bat gadget annessi. Sul piano della comunicazione è stato l’unico politico chiamato per nome, come fosse un parente o l’amico della porta accanto. I giornalisti suoi ex-colleghi si divertivano a anche sarcasticamente a scrivere delle sue trovate come la inutile teleferica al cui cavo era rimasto appeso durante l’inaugurazione con spasso generale.

Convinto delle proprie capacità comiche e istrioniche e uso a recitare a soggetto, costruendo sulle spalle del lavoro dei collaboratori, Boris torno’ in politica a Westminster per il collegio di Upminster nel 2015, per poi diventare principale promotore della Brexit al referendum del giugno 2016. E’ noto che fino all’ultimo non aveva deciso per chi schierarsi e avesse in tasca due discorsi, finché decise di fare il salto e abbracciare la causa del divorzio dalla UE, rispolverando tutto l’armamentario anti-europeo che ben conosceva e giocando il ruolo dell’uomo del destino. Il commentatore politico Nick Cohen ha messo in luce come Boris, nei suoi eccessi e sregolatezze, corpulenza e individualismo anarchico,  incarni per certi versi l’eroe fittizio John Bull. Johnson, nel caso dell’Europa, ha rivenduto agli elettori la Brexit come un gesto anarchico-liberatorio verso Bruxelles, in cui molti si sono riconosciuti. Secondo il giornalista irlandese Fintan O’Toole il ruolo di Boris nella Brexit sarebbe stato talmente decisivo che senza di lui non avrebbe potuto esserci considerando la strampalataggine di un progetto che faceva a pugni con la logica economica e aveva dunque bisogno di un sostegno non razionale ma emotivo e fantasioso che solo Boris poteva interpretare al meglio.

Megalomane, genialoide, istrionico, scattista, spregiudicato, Johnson è stato l’uomo del destino per traghettare il partito e il Paese nella Brexit, mentendo sul fatto che egli avrebbe costruito una barriera doganale nel mare tra Gran Bretagna e Nord Irlanda, quella barriera che Theresa May, sua predecessora, figlia di un vicario e fortemente moralista, non riusciva a concepire per onestà intellettuale. Oggi Boris sta cercando di stracciare quel trattato da lui concluso con la UE, che aveva peraltro l’obiettivo di salvaguardare gli equilibri in Nord Irlanda e che rischia di destabilizzare la regione. A Boris, peraltro, delle grandi idee innovatrici e delle valutazioni strategiche, dei dettagli e delle ripercussioni delle decisioni, non è mai potuto fregare di meno. Nella sua megalomania è sempre andato dritto al cuore dell’obiettivo, senza mai badare troppo agli effetti collaterali, sia sul piano umano, travolgendo amici amanti e collaboratori, lasciati indietro come detriti nel vortice delle eliche di un motoscafo, sia delle idee e ideali, a cui non ha mai dato, sul fondo, alcuna importanza. Tanto è vero che, dopo essersi presentato come Conservatore tradizionale, difensore del rigore in economia, ha sbracato completamente sui conti pubblici oltre il dovuto necessario per limitare i danni del Covid. Un danno peggiorato dalle ripercussioni della Brexit, che ha comportato altre spese. Lo stesso Covid, che egli vanta di avere debellato meglio di ogni altro Paese, ha avuto un numero superiore a tutti gli altri Paesi europei tranne, in proporzione, l’Italia, che ha pero’ dovuto affrontare l’emergenza in prima linea con anticipo su tutti gli altri, mentre Londra ha avuto oltre un mese per prepararsi, ma ha esitato a varie riprese a operare i primi lockdown in modo tempestivo per non scontentare la lobby di commercianti.

A differenza di quando era sindaco di Londra, una volta al Governo Johnson si è  circondato di persone mediocri e fedeli che gli dovevano il posto ma che, a giudicare dall’atteggiamento degli ultimi giorni, erano esasperate di collaborare con un premier erratico, caotico e mendace, che li ha costretti a difendere le sue scelte e guasconate come i party a Downing Street durante il lockdown. Il suo è stato peraltro un Governo incompetente, a giudicare dalla monumentale spesa di 29 miliardi di sterline per  monitorare  il Covid con il sistema test and trace che non ha funzionato. Oltre a creare legittimi sospetti di corruzione, dato che molte società beneficiarie delle spese sanitarie avevano legami con sostenitori del Governo. Sono soldi che fanno impallidire tutta la tematica della Brexit e i pochi miliardi annui che si sarebbero risparmiati stando fuori dalla UE. Oltre ai miliardi spesi per arginare i danni del Covid nel mondo del lavoro, ma che non riescono a raddrizzare l’economia britannica, che sta andando peggio di tutte le altre continentali ed è ormai stabilmente rimpicciolita di un 4% annuo rispetto a quanto sarebbe stata se rimasta nella UE, pari a un valore assoluto di 32 miliardi l’anno. Son cifre che fanno rabbrividire, ma che a Boris, capocomico di una tragicommedia che ha stracciato gli standard etici in politica in un Paese che si piccava di dare lezioni al mondo, non toccano assai probabilmente alcun tasto. Da grande pifferaio, a lui interessava fare l’incantatore, recitare una sceneggiata e vendersi come personaggio su grande scala. Senza badare a spese, come ha sempre fatto, dai conti di quando era giornalista o Primo ministro per arredare il suo appartamento a Downing Street, su su fino alla spesa pubblica statale, con buona pace per l’anima stessa del pianeta Tory che è riuscito a incantare ipnotizzare e poi snaturare nei suoi principi pur mantenendo l’ammirazione di molti nella base che oggi considerano che sia stato tradito da un partito di ingrati. Prepariamoci a nuove sorprese.